Gigi Delneri: «Quel Chievo era un capolavoro, potevamo davvero vincere lo scudetto»

di Redazione | 9 Dicembre 2025

Luigi “Gigi” Delneri, friulano classe 1950, è una figura imprescindibile del calcio italiano. Centrocampista con oltre cento presenze in Serie A tra Foggia e Udinese, ha poi costruito una lunghissima carriera in panchina: dalla gavetta tra dilettanti e Serie C fino alle grandi piazze, guidando club come Porto, Roma, Palermo, Atalanta, Sampdoria, Juventus, Genoa, Hellas Verona, Udinese e Brescia, vivendo numerose stagioni da protagonista in massima serie. Fra tutte spicca l’esperienza del “Chievo dei miracoli”, la squadra che portò dalla B all’Europa e che segnò un’epoca con un calcio brillante e coraggioso. Ospite di Raffaele Tomelleri e Serena Mizzon a Palla Lunga e Raccontare su Radio Adige TV, Delneri ha ripercorso il suo lungo viaggio nel pallone: dagli inizi da giocatore ai valori che rivendica ancora oggi, passando per i momenti più intensi della sua carriera in panchina.

Ha dedicato tutta la sua vita al calcio, prima da giocatore e poi da allenatore. Che ricordi ha della sua carriera da calciatore?

Quando riguardo le immagini dei tempi di Foggia mi emoziono ancora. Stadi pieni, gruppo stupendo, eravamo giovani ed eravamo forti. Io? Magari un po’ lento, come dicevano allora,  ma con la palla ci sapevo fare

Poi arriva l’esperienza in panchina: le prime stagioni sono tra i dilettanti e nell’allora Interregionale (Serie D), alla guida di squadre come Opitergina, Pro Gorizia e Partinicaudace. Come ha vissuto quei primi anni da allenatore?

Ho sempre pensato che l’importante fosse fare calcio, ovunque, senza guardare la categoria. Quegli anni sono stati preziosissimi: ho accumulato esperienza e, soprattutto, ho imparato cosa significa costruire un gruppo capace di vincere. Servono umiltà, serietà, credibilità. E la credibilità non si compra: te la conquisti con l’esempio. Una squadra ti misura subito, capisce se ha davanti una persona seria o un venditore di fumo. Devi essere coerente, sempre,  nelle scelte, nelle spiegazioni, nei comportamenti. Qualcuno può anche non condividere ciò che fai, ma se sei coerente questo lo riconosce.

Il ricordo più bello della sua carriera?

Beh, il Chievo. Quel Chievo è stato davvero un piccolo capolavoro. Quando ci ripenso, sono convinto che avremmo potuto vincere lo scudetto, se non fossero accadute troppe cose “strane”. Giocavamo un calcio grande, spensierato, allegro, spregiudicato. Ed era tutto più semplice rispetto a oggi. In quegli anni il Veronello sembrava Cinecittà: arrivavano da tutto il mondo per scoprire quella squadra, per capire come giocassimo. Ci allenavamo sotto gli occhi di tutti; oggi, se non ti prepari a porte chiuse, sembri quasi fuori moda.

Nel corso della sua carriera ha guidato grandi squadre ma ha conosciuto anche momenti complicati, dalla parentesi al Verona alle stagioni più difficili con Roma, Juve e Porto. Come guarda oggi a quelle esperienze?

A Verona sono subentrato in corsa a Mandorlini e la squadra era già ultima, in una situazione più che difficile. Nonostante questo, non considero quell’avventura negativa: parlano i numeri, non io. Quanto alle esperienze al Porto, alla Juve, alla Roma… non le ho mai vissute come graffi sulla pelle o come pagine storte. Erano realtà diverse, ma tutte grandissime squadre. E, prima di tutto, io lì ci sono arrivato. Ognuna di queste esperienze mi ha lasciato molto. Non credo di esserci arrivato troppo presto o troppo tardi: ci arrivi, se ci arrivi, quando è giusto.

Cambierebbe qualcosa?

Non cambierei nulla, nemmeno i rapporti più difficili avuti con giocatori importanti come Antonio Cassano, Marazzina o Toni. Sono sempre stato me stesso: se vuoi essere credibile e farti seguire, devi essere il primo a dare l’esempio. Anche quando, per coerenza, devi mettere fuori uno come Cassano. Antonio, poi, quando rientrò alla Samp, aveva capito la lezione e ci trascinò in Europa. E, in fondo, non mi avrebbe invitato al matrimonio se avesse pensato male di me.

E nel calcio di oggi?

Vorrei ritrovare quei valori umani che ormai si sono persi. Senza quelli, che cosa ti resta? I risultati passano, mentre l’amicizia e i sentimenti, per fortuna, rimangono.