Carlo Dusini: «Il fisioterapista guida, ma il percorso lo fa il paziente»
di Claudio Capitini | 23 Dicembre 2025La fisioterapia è una professione in forte evoluzione, sempre più richiesta e sempre meno confinata al solo recupero post-operatorio. Oggi si confronta con dolori cronici, stili di vita sedentari, invecchiamento della popolazione e una crescente domanda di percorsi di cura efficaci e duraturi. Ospite di Verona Salute, Carlo Dusini, fisioterapista noto come “il fisioterapista del movimento”, fondatore di due centri tra Verona e provincia e coordinatore di un team multidisciplinare composto da fisioterapisti, medici specialisti e nutrizionisti, ha illustrato il suo approccio al trattamento dei disturbi muscolo-scheletrici. Un metodo basato sul recupero efficace, che integra esercizi attivi e tecniche manuali, fondato sull’uso del movimento come strumento terapeutico dosato, sulla personalizzazione dei percorsi e sul coinvolgimento attivo del paziente nel processo di guarigione.
In cosa consiste oggi il suo lavoro di fisioterapista e su quali problematiche si concentra?
La fisioterapia abbraccia moltissimi ambiti, muscolo-scheletrico, neurologico, respiratorio, cardiovascolare, ma come studio ci siamo specializzati soprattutto nei disturbi muscolo-scheletrici. Parliamo quindi di problematiche che coinvolgono articolazioni, muscoli, tendini e nervi: il classico mal di schiena, il dolore cervicale, la spalla dolorosa, ma anche il recupero dopo un trauma o un intervento chirurgico. Una parte molto importante del nostro lavoro riguarda però le persone che soffrono di dolori cronici, che spesso si trascinano da anni e richiedono un’estrema competenza per essere affrontati in modo efficace.
Perché oggi il fisioterapista non è più solo il riabilitatore “post-intervento”?
Siamo abituati a pensare al fisioterapista come a chi, in ospedale, aiuta il paziente a tornare a camminare dopo un intervento. In realtà gran parte del lavoro oggi si svolge fuori dall’ospedale, con persone che convivono da tempo con il dolore. In questi casi non basta “far passare” il sintomo: serve una presa in carico competente, capace di accompagnare il paziente fuori da situazioni di dolore che durano anche da molti anni.
Il suo metodo viene definito “movimento terapeutico dosato”. Cosa significa concretamente?
Significa che al centro del trattamento c’è il movimento attivo, non generico ma personalizzato e calibrato sulla situazione del singolo paziente. Utilizziamo esercizi mirati, costruiti su misura, con l’obiettivo di risolvere un problema preciso. Spesso l’esercizio viene confuso con quello visto su internet o fatto in palestra in autonomia: nel nostro caso è diverso. Io faccio spesso il paragone con il farmaco: come un medicinale, anche l’esercizio deve essere dosato correttamente per ottenere un risultato. Il fisioterapista sceglie quanto e come farlo eseguire, guidando il paziente passo dopo passo verso la guarigione.
Come si struttura, in pratica, il percorso di cura all’interno dei vostri centri?
Per noi la cura inizia ancora prima della seduta vera e propria, con una grande attenzione all’accoglienza del paziente. C’è una fase di colloquio approfondito, in cui ricostruiamo la storia del problema, seguita da test specifici manuali e di movimento. Utilizziamo anche strumenti che ci permettono di avere misurazioni oggettive, come i dinamometri. Il trattamento combina poi tecniche manuali e lavoro in palestra riabilitativa, dove il paziente svolge esercizi mirati sotto supervisione. Un aspetto centrale è proprio la misurazione dei risultati: il paziente deve sentirsi meglio, ma vogliamo anche mostrargli dati concreti su cui basiamo il miglioramento.
Lei parla spesso di “esercizio come medicina”. In che senso?
Quando ho aperto il mio primo studio, nel 2020, questo approccio non era ancora così diffuso. La fisioterapia era, e in parte è ancora, molto legata a strumenti passivi e trattamenti sul lettino. L’esercizio, invece, è uno stimolo che induce un adattamento nel corpo: ogni esercizio genera un cambiamento. Non serve solo a rinforzare muscoli o tendini, ma attiva anche meccanismi del sistema nervoso che riducono la percezione del dolore. Per questo diciamo che l’esercizio può essere utilizzato anche come analgesico, proprio come un farmaco antidolorifico.
Un suo concetto chiave è “mostrare al paziente cosa può fare nonostante la patologia”. Perché è così importante?
Perché durante il percorso di guarigione molte persone iniziano a limitarsi eccessivamente, rinunciando ad attività che in realtà potrebbero ancora svolgere. Pensiamo a chi ha mal di schiena e smette di piegarsi o di fare sport per paura. Il movimento guidato ha anche un valore psicologico: accompagnando il paziente e rassicurandolo, gli facciamo vedere che certe azioni sono ancora possibili. Questo recupero di fiducia è spesso decisivo e diventa parte integrante della soluzione del problema.
Quanto contano la gradualità e la personalizzazione degli esercizi?
Sono fondamentali. L’esercizio deve essere dosato, ma anche graduale e progressivo. Il corpo risponde agli stimoli nuovi: se una persona fa gli stessi esercizi per mesi o anni, a un certo punto il miglioramento si blocca. È uno dei motivi per cui alcune terapie falliscono. Per questo modifichiamo spesso i programmi, anche di settimana in settimana, adattandoli all’evoluzione del paziente. È questa progressione continua che porta al miglioramento.
Perché la fisioterapia è una professione in così forte crescita?
Le cause sono diverse. Da un lato c’è la sedentarietà, legata al lavoro alla scrivania, che favorisce l’insorgenza di dolori. C’è poi una componente di stress psicologico, lavorativo e sociale, sempre più diffusa. Dall’altro lato, però, c’è anche una maggiore consapevolezza: oggi sappiamo che molte situazioni possono essere risolte e non vanno semplicemente subite. Infine, l’invecchiamento della popolazione aumenta il bisogno di interventi che aiutino le persone a vivere meglio e più a lungo.
Nei vostri percorsi utilizzate anche strumenti digitali e app. Non c’è il rischio di “abbandonare” il paziente?
Certo, solo se venissero usati in modo completamente autonomo. Nel nostro caso l’app è uno strumento di supporto: gli esercizi vengono scelti e spiegati in seduta dal terapista, poi il paziente li ripete a casa seguendo video e indicazioni precise. Questo favorisce la costanza e migliora i risultati. I pazienti apprezzano molto perché sanno esattamente cosa fare e possono rivedere gli esercizi in qualsiasi momento.
Secondo la sua esperienza, quali sono gli approcci più rischiosi in fisioterapia?
Una delle cose più pericolose è non responsabilizzare il paziente. Se il terapista assume un ruolo troppo autoritario e passivo per il paziente, come a dire “ci penso io, tu non devi fare nulla”, si rischia di delegare all’esterno la guarigione. Spesso il problema nasce da abitudini scorrette o da mancanza di movimento, quindi il paziente deve essere parte attiva. Anche l’uso esclusivo di terapie passive può dare beneficio nel breve termine, ma non porta a risultati duraturi se non viene integrato con l’esercizio attivo.
Che ruolo ha la tecnologia nella vostra pratica clinica?
La tecnologia ha senso solo se basata su evidenze scientifiche e se porta un reale beneficio. Non tutte le strumentazioni elettromedicali hanno dimostrato un’efficacia significativa nel trattamento delle patologie che affrontiamo in studio. Noi utilizziamo soprattutto tecnologie che oggettivano i risultati: pedane di forza, dinamometri, sensori di movimento. Mostrare al paziente dati concreti aumenta l’aderenza al percorso, perché anche se il dolore non è ancora sparito del tutto, vede che sta migliorando.
In fisioterapia si può parlare davvero di guarigione?
Il nostro obiettivo sarebbe sempre quello di guarire al 100%, e in molti casi di patologie muscolo-scheletriche questo è possibile. Ci sono però situazioni in cui la guarigione completa non si può ottenere, come alcune patologie reumatologiche o neurologiche. In questi casi si lavora sulla gestione del problema, per permettere alla persona di vivere meglio e di scoprire cosa può fare nonostante la patologia.
Spesso c’è confusione tra fisioterapista e osteopata. Qual’è la differenza?
Il fisioterapista è un professionista sanitario laureato, iscritto a un albo, che si occupa di prevenzione, cura e riabilitazione di persone con patologie e disfunzioni, spesso all’interno di un team con altri specialisti. Utilizza esercizio, terapie strumentali e tecniche manuali. L’osteopata, oggi riconosciuto come professionista sanitario, si occupa invece del mantenimento del benessere e della prevenzione in persone sane, attraverso trattamenti manuali, senza finalità di cura di una patologia.


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