Sara Simeoni: «Volevo scappare dallo stadio poi ho vinto la medaglia d’oro»

di Redazione | 4 Dicembre 2025

Sara Simeoni appartiene alla categoria rarissima dei campioni che continuano a vivere nella memoria collettiva non solo per ciò che hanno vinto, ma per come lo hanno fatto. Veronese di Rivoli, classe 1953, è stata una delle icone assolute dell’atletica mondiale: primatista del mondo con il suo leggendario 2,01, tre medaglie olimpiche individuali in quattro partecipazioni, una rivalità entrata nella storia con Rosemarie Ackermann e un’eleganza tecnica che ha segnato un’epoca del salto in alto femminile. Ospite di Raffaele Tomelleri e Serena Mizzon a Palla Lunga e Raccontare, Simeoni ha ripercorso alcuni passaggi decisivi della sua storia: la pressione di Mosca ’80, la crisi vissuta prima della finale poi trasformata in un oro che è entrato nel mito, e il presente da insegnante, vissuto con la semplicità e l’onestà che da sempre la contraddistinguono.

Dietro una medaglia d’oro si immaginano solo certezze. Eppure lei ha parlato di essere stata terrorizzata proprio il giorno di quella finale olimpica che la portò all’oro. Cosa accadde esattamente a Mosca quel giorno? 

Eppure sì, è capitato anche questo. Entrai nello stadio di Mosca e cominciai a star male: mi sentivo svenire. Il fatto è che mi presentavo da grande favorita. Avevo fatto il record del mondo, potevo solo perderla io la medaglia d’oro. E quando sei favorita, le cose non sono mai semplici.

E da quella crisi come è riuscita ad uscirne? 

Ai tempi non si parlava ancora di crisi di panico, altrimenti avrei chiesto aiuto. Quando sono salita in pedana avevo il cuore a mille e non ricordavo più nulla: sembrava quasi la prima volta. Provai persino la rincorsa e la sbagliai. Meno male che c’era Erminio, il mio allenatore, che non un urlaccio mi riportò sulla terra. Era tra il pubblico, perché allora non potevi avere l’allenatore accanto. Ma lo sentii lo stesso, e fu sufficiente a rimettere tutto a posto. Da lì in poi, tutto quello che è venuto dopo sono solo ricordi bellissimi di un giorno straordinario.

Dalla carriera di atleta sei passata a quella di insegnante, nelle scuole e all’università. Un’esperienza che descrivi come positiva. Ma non è un po’ un controsenso che una figura grande come la tua non veda riconosciuti neppure i requisiti per la pensione?

Cosa volete, queste sono le regole e vanno rispettate. Penso, però, che le cose potrebbero andare diversamente: credo che le Federazioni dovrebbero, in qualche modo, tutelare e valorizzare chi ha rappresentato qualcosa per lo sport italiano. Ma non tocca a me decidere. So soltanto che devo lavorare ancora qualche anno per saltare l’asticella della pensione.