Pantheon 65
di Redazione | 30 Novembre 2015Partiti, politici, sindacati: le parole del passato. Famiglia, merito, bene comune: le parole che guideranno il nostro futuro. E al centro: la Democrazia.
Questo è il “Lessico del Futuro” secondo il sondaggio Demos-Coop condotto a Maggio 2015. Per l’occasione, è stato sottoposto alla valutazione dei cittadini un vero e proprio sillabario, una serie di parole attinte dal linguaggio dei media e della vita pubblica, per misurare il sentimento suscitato da queste parole nel sentire comune. Il risultato è una «mappa del linguaggio del nostro tempo», come definita dal sociologo Ilvo Diamanti, che esprime da un lato una diffusa delusione nei confronti di politica e istituzioni, forse proprio perché incapaci di dialogare in modo chiaro ed efficace con i cittadini, dall’altro la fiducia in quei valori su cui si costruisce il nostro presente e che saranno le fondamenta del nostro futuro. Al confine, tra disincanto e speranza, sta la Democrazia; il termine più controverso e dibattuto, proprio a causa dei cambiamenti che interessano il nostro tempo e che stanno attraversando le istituzioni: i partiti, lo Stato, l’Unione Europea.

Diritto e dovere di Parola
In questo scenario, in un’Italia in cui spesso la classe dirigente è incapace di interpretare le reali esigenze della cittadinanza, in un’epoca di “crisi della democrazia” e in una società sempre più complessa, c’è un presupposto imprescindibile: ritornare a prendersi cura delle parole, come incita il giurista Gustavo Zagrebelsky nel suo Decalogo contro l’apatia politica. Il tema potrebbe sembrare materia da linguisti o intellettuali, una questione astratta che non ci riguarda. Tutti però abbiamo a che fare con il linguaggio, ogni giorno, e con la distanza, sempre più ampia, tra le parole e i fatti. Con la perdita di concretezza della nostra lingua.
Inoltre, ricorda Zagrebelsky, più ricca sarà la quantità e la qualità delle parole del nostro “vocabolario collettivo”, più giusti e chiari saranno i nostri pensieri e le nostre idee e, con essi, le nostre capacità di analizzare e comprendere la complessità del tempo presente. Per questo, è dovere di coloro che la lingua della burocrazia, dell’amministrazione, del diritto e dei media la esercitano in modo attivo ritornare a prendersi cura delle parole, perché dire qualcosa comporta (o almeno così dovrebbe), sempre, un impegno di verità. E perché, come afferma Tullio De Mauro, «chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire».
Ma la cura delle parole è anche il compito di tutti i cittadini, i destinatari che questa lingua la vivono in modo (solo apparentemente) passivo, perché capire è un diritto di tutti e la condizione fondamentale per la nostra libertà di parola.
Perché la democrazia non è da cercare solo nella cabina elettorale, nel momento delle «elezioni libere, corrette e aperte a tutti» (Huntington) ma, ancor prima, nel dialogo vivo che è possibile solo quando c’è reciproca comprensione.
E allora partiamo proprio dalle parole del nostro presente, dalla salute nel nostro linguaggio quotidiano per migliorare il presente e magari anche il futuro.
Partiamo dalle parole che usiamo e che definiscono quello che siamo.
Le parole precise dell’etica civile
«Non è possibile pensare con chiarezza se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza»: il nostro modo di esprimerci è, in qualche misura, anche il nostro modo di essere. Questo afferma il filosofo John Searle e così si apre Con parole precise Breviario di scrittura civile, l’ultimo lavoro di Gianrico Carofiglio, presentato a Padova in occasione della Fiera delle Parole.
Domenica 11 ottobre, lo scrittore, già pubblico ministero, consulente della commissione parlamentare antimafia e senatore della Repubblica, ha dialogato con un attento e partecipe pubblico in un gremito Palazzo della Ragione.
Prima di lui, sono tanti i giuristi, i linguisti, i politici e gli intellettuali che nel nostro Paese e all’estero hanno lamentato la qualità del linguaggio usato dalle istituzioni: una lingua spesso volutamente oscura, che preferisce nascondere invece che mostrare, e lontana dall’italiano quotidiano, quel “burocratese” inutilmente complicato che spreca tempo e risorse.
Non è un caso che già nell’ormai lontano 1998 l’allora presidente degli Stati Uniti d’America Clinton ricordasse in un memorandum che «il plain language (il linguaggio piano, ndr) fa risparmiare tempo, fatica e denaro al Governo e al settore privato».
Da questo dato di fatto e dal «disagio e dall’indignazione per l’uso delle parole in pubblico» nasce l’esigenza di questo libro, ci spiega Carofiglio, «perché occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è un lusso da intellettuali o una questiona accademica. È un dovere cruciale dell’etica civile».
Le società si fondano proprio sulla fiducia in una lingua condivisa e sulla fondamentale responsabilità nell’uso delle parole. Mi impegno a fare ciò che dico.
«La lingua oscura, quella intervallata da continui “Sono stato frainteso” e quella delle leggi, spesso troppo aperta a libere interpretazioni, è profondamente antidemocratica» dichiara, con chiarezza, Carofiglio. Perché laddove c’è oscurità di linguaggio non si può trovare autentica democrazia, quella democrazia che nelle parole di Norberto Bobbio è «l’esercizio visibile del potere».
In poche parole, la certezza del diritto, non è meno importante della sua chiarezza e di quella di tutti i linguaggi pubblici.

Breve dizionario burocratese – italiano (esempi tratti da Con parole precise Breviario di scrittura civile)
- Le apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica da uso pubblico: I telefoni cellulari
- Le modalità della segnaletica alla clientela in merito al pagamento del titolo di viaggio: I modi per informare i clienti su come pagare il biglietto
- La problematica relativa alla tipologia familiare: Il problema dei tipi di famiglia
- Supportare i processi di valutazione e farsi carico del monitoraggio della loro corretta applicazione in base ai criteri definiti dal C.d. D.: Aiutare nella valutazione e controllare che corrisponda ai criteri stabiliti dal collegio dei docenti
- La realizzazione del progetto comporta la necessità di una rivalutazione della politica dell’Amministrazione nonché di una ridefinizione dei suoi obiettivi: Per realizzare il progetto l’Amministrazione deve rivalutare la propria politica e ridefinire i propri obiettivi
- L’azione esecutiva dovrà essere nuovamente sospesa per la sopravvenuta caducazione del titolo: L’azione esecutiva dovrà essere nuovamente sospesa perché il titolo è venuto meno
- Provvedere al mantenimento: Mantenere
- Effettuare una cancellazione: Cancellare
- Procedere a una verifica: Verificare
Due parole per un futuro più chiaro
Cosa fare allora per raggiungere questa chiarezza, di lingua e quindi di pensiero e comportamento?
Per Carofiglio la chiave sta proprio nella semplicità, in quel linguaggio piano consigliato da Clinton, ma già ricercato e auspicato da tanti altri anche in Italia: risale al 1993 infatti il Codice di stile delle comunicazioni scritte a uso delle pubbliche amministrazioni promosso dal Ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese e seguito poi da un più conciso Manuale di Stile (1997).
Certo, prestando attenzione alle date di pubblicazione viene da pensare che di strada se ne sia fatta ancora poca. Nonostante i numerosi studi che dimostrano i comprovati benefici del plain language in termini di risparmio di tempo, di risorse e di denaro sia nel settore pubblico così come nel privato.
«Semplicità non vuol dire tradurre tutto, indistintamente: un “incidente probatorio” non può che essere chiamato così! Bisogna però evitare il più possibile le definizioni astratte e preferire a queste la concretezza delle azioni». Su questo insiste Carofiglio, che parlando di semplicità e chiarezza accenna anche a Papa Francesco e all’efficacia comunicativa delle sue parole. E non è un caso che proprio il pontefice sia l’unica figura condivisa che emerge da quella stessa indagine condotta da Demos-Coop sul lessico del futuro.
Due domande per uno sguardo più chiaro
La Costituzione italiana, come ha già ricordato Tullio De Mauro, è un documento di grandissima importanza, non solo per i valori e i diritti che difende, ma anche per la sua brevità e chiarezza. È composta di sole 9369 parole e le sue frasi non superano, in media, le venti parole. Ma ancora più importante, è stata scritta utilizzando 1357 lemmi, di cui più del 92 % appartiene al vocabolario di base che tutti noi conosciamo e comprendiamo.
Spesso si rimprovera al plain language di essere infantile, semplicistico e impreciso ma chi di noi descriverebbe così la nostra Costituzione?
«Guardiamo alla nostra Costituzione nel fare le leggi, alla sua limpidezza ed essenzialità» suggerisce Carofiglio.
Quanto invece ai cittadini, a tutti noi che le leggi non le scriviamo ma le viviamo, è dato il compito di avvicinarci al linguaggio pubblico in modo consapevole, di ascoltare in modo attento e perspicace così da riuscire a rispondere sempre a due domande. «Perché? chi ha scritto questo testo lo ha scritto in questo modo. Come? si sarebbe potuto scrivere in modo più efficace, così da renderlo più adeguato e onesto».
La lingua democratica, quella che include invece di escludere, è quella che combatte l’oscurità non necessaria, che «non ricorre a pseudotecnicismi per dare sfoggio di sé, per esercitare il proprio potere o per occultare la mancanza di contenuti».
È la lingua che, con parole precise, mostra i fatti e le cose per quello che sono, senza paura di chiamarli con il loro nome, ed è «sintomo di virtù civili e fattore di democrazia».
È una “cosa pubblica”, un bene comune al servizio del bene di tutti.


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