Cervelli in fuga: un esodo di duemila veronesi all’anno
di Laura Pellegrini | 16 Settembre 2025Per un giovane su due il futuro non è nella propria terra origine: dopo la laurea, molti ragazzi decidono di spostarsi all’estero, dove vengono accolti da migliori opportunità lavorative, salari più elevati e carriere più stabili.
Secondo gli ultimi dati della Fondazione Nord Est, nell’ultimo anno 11.491 giovani tra i 25 e i 34 anni si sono cancellati dall’anagrafe per trasferimento all’estero. La nostra provincia è una delle più colpite: la città di Verona ha registrato 9.040 cancellazioni di giovani dalle anagrafi cittadine tra il 2011 e il 2024. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi dai 18 ai 39 anni, ma nel 2024 sono aumentati anche gli espatri nella fascia d’età tra i 40 e 64 anni.

Le cause
I giovani sono convinti che il p roprio futuro si giochi fuori dall’Italia. Sebbene la qualità della vita nella città scaligera venga comunque apprezzata (con una media di 3.7 su 5), gli aspetti più critici evidenziati dalla ricerca riguardano la casa e il lavoro. L’accesso ai mutui è sempre più complesso, così come la ricerca di un’occupazione stabile e sicura, possibilmente in linea con il proprio percorso di studi. Al di là della formazione, mancano le opportunità: salari bassi e poco competitivi, contratti precari, difficoltà di accesso al credito per l’acquisto di immobili, ecc. L’Italia è il Paese ideale per la formazione dei giovani talenti, ma le scarse opportunità di inserimento lavorativo spingono i ragazzi a cercare esperienze e carriere altrove.
Le voci dei giovani veronesi espatriati
Valentino Giarola

Valentino Giarola è un giovane ricercatore e biotecnologo, originario di Zevio. Dalle campagne veronesi si è spostato prima in Germania e poi in Olanda, dove vive tuttora con la sua famiglia.
Cominciamo dal viaggio: quando sei partito per la Germania, cosa cercavi davvero?
Sono partito per fare un’esperienza formativa all’estero (Erasmus), durante l’ultimo anno della laurea specialistica. L’università di Verona aveva accordi di scambio con un gruppo tedesco e ho ritenuto che la Germania fosse un buon posto per fare esperienza di ricerca.
Quanto sei rimasto in Germania e quali opportunità hai trovato?
Dopo l’Erasmus sono tornato a Verona e mi sono laureato. Mi sarebbe piaciuto rimanere in Italia ma vedevo la Germania come un’opportunità migliore e con più possibilità professionali. Inoltre il dottorato in Germania è inquadrato come un lavoro a tutti gli effetti, con tutte le tutele del caso. Alla fine ho completato il dottorato e sono rimasto all’università di Bonn come ricercatore per circa 12 anni.
Ad oggi vivi in Olanda: che cosa ti ha spinto a trasferirti nuovamente all’estero?
All’inizio del 2019 ho vinto una borsa europea di ricerca Marie Curie: questi fondi erano un’importante occasione per rientrare in Italia e lavorare in un centro di ricerca a Trento. Finita la borsa di studio, a malincuore, ho dovuto lasciare l’Italia per l’Olanda, dove sono riuscito a trovare facilmente un lavoro a tempo indeterminato come ricercatore e manager delle operazioni per un’azienda che supporta lo sviluppo di varietà di piante per coltivazioni più sostenibili.
Guardando indietro, cosa è mancato in Italia per fare ricerca come volevi?
Sono mancati sicuramente gli investimenti nella ricerca (anche privati) che si traducono in posti di lavoro, così come manca un sistema che possa garantire ai ricercatori di vivere del loro lavoro. Questo è un peccato perché la ricerca in Italia è di alto livello, le competenze ci sono, ma i ricercatori italiani finiscono per fare la fortuna di altri stati.
Se ti proponessero oggi un ruolo di valore in Italia, accetteresti?
Sì, credo che accetterei. Sono nato e cresciuto qui, credo nelle potenzialità di questo paese.
Emma Maria Ugolini
Emma Maria Ugolini è una studentessa veronese di medicina. Ha frequentato il liceo scientifico internazionale Aleardo Aleardi e ha ricevuto il titolo di Alfiere del Lavoro dal Presidente della Repubblica.

Quando hai capito che il tuo futuro sarebbe stato lontano dall’Italia?
È stato verso gli ultimi anni di liceo, quando ho confermato la mia scelta di voler studiare medicina. Mi affascinava molto tutto quello che avrei potuto fare non solo come medico in ambulatorio o in reparto, ma più in generale nel mondo della ricerca.
Quali sono state le opportunità all’estero che ti hanno permesso di crescere a livello professionale?
Le due esperienze più importanti sono state presso l’ospedale universitario di Zurigo, dove ho svolto inizialmente un periodo di ricerca di base: facevo capo al reparto di gastroenterologia. A novembre dell’anno scorso ho chiesto di ritornare presso lo stesso ospedale per svolgere un percorso un po’ più vicino all’attività del medico: mi sono occupata di quei farmaci che non sono ancora sul mercato e che vengono testati su un ristretto gruppo di pazienti.
Che cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
Fin da subito c’era l’interesse di andare fuori dall’Italia, di vedere com’è la situazione all’estero, ma anche la necessità di raccogliere esperienza. Tirando le somme vedo tanti dati negativi qui in Italia e all’estero vedo invece un’offerta migliore.
Secondo te, che cosa manca qui per trattenere chi ha talento?
Secondo me, in Italia si tende a non valorizzare il personale medico e le risorse a disposizione: alle volte mi sembra che assumere una persona piuttosto che un’altra sia la stessa cosa. Non vengono valorizzate le qualità del singolo individuo e purtroppo in tantissimi ospedali la situazione è critica.
Se ti offrissero un’opportunità importante qui in Italia, accetteresti di restare?
Assolutamente sì. Se ci fosse una scuola di specializzazione dove poter essere seguita adeguatamente, io rimarrei. Ma purtroppo ad oggi non ho trovato l’input giusto per convincermi a restare. Tant’è che in questo periodo, che mi sto concentrando sulla tesi, avevo pensato di svolgere un progetto appoggiandomi a un centro medico italiano, ma purtroppo il centro rispondeva solo alle email dei miei superiori. Io in pratica non esistevo. Vedendo questo atteggiamento, ho deciso di spostare la mia attenzione altrove. Sono dovuta andare all’estero a presentare il progetto perché – letteralmente – sono sfuggita loro di mano dopo numerosi tentativi di mediazione.
Leonardo Todeschini

Leonardo Todeschini è stato uno dei due giovanissimi studenti scelti per il dottorato in «Biological and biomedical sciences» all’università di Harvard, a Boston, negli Stati Uniti.
Sei stato uno dei giovani europei selezionati per svolgere il dottorato ad Harvard: che effetto ti ha fatto questa notizia?
Mi ha dato tanta soddisfazione: è un percorso a cui ho lavorato per tantissimo tempo e a cui tenevo davvero tanto.
Se non ci fosse stata l’occasione di Harvard, dove avresti proseguito gli studi?
Molto probabilmente all’estero, in ogni caso. Avevo già adocchiato altre istituzioni europee dove si fa ricerca biomedica di altissimo livello. Mi sarei visto in Europa, sicuramente più vicino a casa, ma non in Italia.
Che cosa ti auguri per i prossimi anni?
Mi auguro di trovare un laboratorio e un bel gruppo di ricerca dove poter svolgere il mio percorso. Spero di vivere appieno l’esperienza e alla fine, quando mi guarderò indietro, vedermi cambiato, arricchito, pronto per iniziare un percorso nuovo nella ricerca biomedica.


I prossimi passi e la visione politica

«L’analisi elaborata da Fondazione Nord Est fa emergere in modo inequivocabile la necessità di mettere in campo una serie di misure per arrestare questa pesante emorragia demografica che dura da anni». Questo è il commento della consigliera regionale del Pd Anna Maria Bigon sul tema della fuga di cervelli. «Serve un piano regionale in grado di erogare incentivi per le imprese che assumono giovani under 35 con contratti a tempo indeterminato e fondi per le start-up giovanili».

Il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, invece, ha aperto un tavolo di confronto con il mondo dell’impresa e della formazione: «La mia proposta – ha spiegato – prevede che le imprese possano formare i giovani direttamente in azienda solo dopo averli assunti con un contratto di lavoro regolare. Il piano formativo sarà redatto dall’imprenditore e si svolgerà durante l’orario di lavoro con piena retribuzione».
Chissà che un percorso virtuoso non possa partire proprio dal nostro territorio dove, in effetti, le imprese disposte a investire nel futuro e i giovani di talento non mancano di certo.


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