Leonardo Todeschini: da Verona ai laboratori di Harvard

di Laura Pellegrini | 29 Agosto 2025
Come canterebbe Gianni Morandi, «uno su mille ce la fa»: Leonardo Todeschini è stato uno dei due giovanissimi studenti scelti per il dottorato in Biological and biomedical sciences all’Università di Harvard, a Boston, negli Stati Uniti. È bastato un messaggio sul cellulare a cambiare completamente la sua vita. Ha solo 25 anni, ma un obiettivo…

Come canterebbe Gianni Morandi, «uno su mille ce la fa»: Leonardo Todeschini è stato uno dei due giovanissimi studenti scelti per il dottorato in Biological and biomedical sciences all’Università di Harvard, a Boston, negli Stati Uniti. È bastato un messaggio sul cellulare a cambiare completamente la sua vita. Ha solo 25 anni, ma un obiettivo chiaro in testa: aprire un laboratorio per studiare le malattie neurodegenerative, in particolare l’Alzheimer. Leonardo si è diplomato al liceo scientifico Calabrese-Levi di San Floriano, ha poi proseguito con la triennale in Scienze e tecnologie biomolecolari all’Università di Trento e quindi la magistrale in Cellular and molecular biotechnology sempre a Trento.
Sei stato uno dei giovani europei selezionati per svolgere il dottorato ad Harvard: che effetto ti ha fatto questa notizia?
Mi ha dato tanta soddisfazione: è un percorso a cui ho lavorato per tantissimo tempo e a cui tenevo davvero tanto.
La tua famiglia come ha reagito?
C’era tantissimo orgoglio da parte loro per il fatto che fossi riuscito a raggiungere questo traguardo. Poi, ovviamente, c’è sempre quella malinconia di quando ti trasferisci lontano, ma sappiamo che grazie alle tecnologie attuali possiamo sentirci costantemente.
Non è la prima volta che parti per gli Stati Uniti.
Alla fine del primo anno della magistrale ho vinto la Armenise Harvard Summer Fellowship, una borsa di ricerca estremamente prestigiosa, che viene data ogni anno a 10 studenti provenienti da tutta Italia e che permette di fare circa due mesi di ricerca a Boston in uno dei laboratori di Harvard. Io ho scelto il laboratorio di David Van Vactor con il quale ho lavorato sulla SLA.


Quando ti sei accorto che la scienza avrebbe avuto un ruolo centrale nella tua vita?
Qua ad Harvard mi sono reso conto che questo era l’ambiente di ricerca che mi piaceva e ho trovato tantissime persone che mi hanno aiutato e seguito durante tutto il percorso. È stata un’esperienza fondamentale che mi ha cambiato il futuro.
Ti piacerebbe proseguire la tua carriera all’estero oppure sogni di tornare in Italia?
Non escludo nessuna delle due possibilità. Il mio sogno è quello di stabilire il mio laboratorio in Italia, però per fare ricerca di un certo tipo servono molti fondi e molte infrastrutture. Attualmente mi trovo bene negli Stati Uniti, c’è un’ottima ricerca con molti fondi, molti investimenti. Se l’Italia dovesse iniziare a sbloccare investimenti di un certo calibro, sicuramente la terrei in considerazione. L’Italia è un posto dove mi piace vivere e mi trovo bene: se avessi la possibilità di fare una ricerca di alto livello senza problemi burocratici, la preferirei molto volentieri.
Oltre allo studio e alla ricerca, so che la tua passione è la montagna.
Quando ero a Trento mi piaceva stare all’aperto, andare in montagna, fare passeggiate, escursioni, ferrate, anche dormire fuori in tenda per provare a disconnettersi dalla vita frenetica di tutti i giorni. Le montagne mi hanno sempre affascinato: mi ricordano che alla fine siamo veramente un battito di ciglia sul pianeta.
Che cosa ti auguri per i prossimi anni?
Mi auguro di trovare un laboratorio e un bel gruppo di ricerca dove poter svolgere il mio percorso. Spero di vivere appieno l’esperienza e alla fine, quando mi guarderò indietro, vedermi cambiato, arricchito, pronto per iniziare un percorso nuovo nella ricerca biomedica.