Blublu Neta: due fidanzati e un cane in giro per il mondo su un van
di Francesca Brunelli | 24 Gennaio 2025
“Blublu Neta” è un nome inventato da Sonia e Ricardo, una coppia internazionale – lei italiana e lui spagnolo – che, da un anno e mezzo circa, ha deciso di investire i propri risparmi e il proprio tempo per intraprendere un viaggio attorno al mondo. Viaggiano su un van assieme al loro cane, di nome Blu, da cui hanno preso ispirazione per il nome della loro squadra. Noi abbiamo intervistato Sonia che, durante le festività natalizie, è tornata per un breve periodo dalla sua famiglia d’origine ad Alcenago, in provincia di Verona.
Cosa significa “Blublu Neta” e chi ne fa parte?
Ricardo, Sonia e Blu fanno parte di Blublu Neta, il nome del nostro trio. Deriva dal nome del cane che si chiama Blu, appunto, il cui diminutivo è “blublu”, “neta” invece significa furgone in spagnolo, che rappresenta il mezzo di trasporto con cui ci stiamo spostando.

Come è nata l’idea di partire per un viaggio intorno al mondo?
L’idea è nata da una mia grande passione per i viaggi, perché il mio ragazzo Ricardo prima di conoscere me non era mai uscito dalla Spagna. Ho letto un libro di Gianluca Gotto, famoso viaggiatore italiano, che, in una frase, spiegava il senso del viaggiare; l’ho letta a Richi e lui mi ha detto “Come sono riuscito ad adattarmi a vivere qui con te a Madrid, posso adattarmi ovunque”. Questa frase è stata l’input che ci ha spinti a provarci. Ci siamo comprati una mappa del mondo che ora è attaccata sul nostro van e abbiamo iniziato a pensare a dove saremmo voluti andare. Abbiamo iniziato a viaggiare come “overlander” attraverso le varie frontiere via terra e abbiamo scoperto che ci sono moltissime persone che lo fanno.

Quale itinerario state seguendo?
Abbiamo visitato 27 Paesi, incluse Italia e Spagna. Partendo dalla Spagna, siamo arrivati fino ai Balcani, per poi arrivare in Grecia, Bulgaria, Turchia dove siamo stati circa 3 mesi, poi Georgia, Armenia e dall’Iran siamo giunti in Asia centrale. Arrivati in Cina, attraversando il Tibet, abbiamo visitato moltissimi templi buddisti. Poi siamo entrati in Nepal, in India, siamo stati alle Maldive, Pakistan, Iran, Iraq e Kuwait e ora siamo in Arabia Saudita.

Qual è l’esperienza più particolare che avete vissuto?
In un paesino sull’Himalaya dove vivono molti rifugiati del Tibet abbiamo dato lezioni di inglese a diversi monaci tibetani. Questa esperienza ci ha colpiti particolarmente per il fatto che per insegnare loro la lingua dovevamo trovare un tema ogni volta diverso per le nostre conversazioni e, alla fine, ogni giorno, discutevamo di argomenti riguardanti la vita. Abbiamo parlato anche della morte che per i monaci, ad esempio, è un pensiero del tutto normale. Sono coscienti che c’è e che chiunque può subirla in ogni momento, per quello cercano di radicarsi il più possibile nel presente. È una cultura e una filosofia di vita molto difficile da comprendere per noi europei.


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