Giorgione: «Amo mangiare, a Verona ancora di più»

di Erika Funari | 26 Novembre 2024

Non tanto i sapori ma la convivialità, il gusto della condivisione e l’esperienza di rivivere un momento attraverso il palato con cui il cibo diventa incontro e leggerezza. Una versione personalissima, verace e schietta della cucina che ne ha fatto l’oste più amato della Tv italiana e guai a chiamarlo chef. Giorgio Barchiesi, per tutti Giorgione, a Verona in occasione della Fiera del Riso di Isola della Scala racconta il suo legame con la città dove la vera storia d’amore è l’incontro tra cibo e vino.

Che valore assume la cucina, il buon cibo, nella sua vita e quando ha deciso che sarebbe diventato il suo mestiere?

Sono nato e cresciuto nell’azienda agricola di famiglia dove il cibo, gli animali e i prodotti della terra erano all’ordine del giorno. Infatti, avevo deciso di fare il veterinario ma poi ho mollato gli studi. La cucina è arrivata molto tempo dopo, quando avevo 50 anni e mi ha ingolosito a poco a poco. Adesso, da adulto, riconosco come sia stata una costante della mia vita soprattutto di quando, per lungo tempo, ho vissuto in campagna. Pr me il buon cibo significa da sempre convivialità, condivisione: cucinare per gli altri è un gesto importante e mangiare bene insieme fa stare bene. Diciamoci la verità, a tavola siamo tutti più aperti e simpatici. Ma queste sono dissertazioni filosofiche… insomma, la cucina è arrivata all’età di 50 anni quando una sera ho organizzato una grande cena a casa e alcune persone si sono imbucate. Li ho conosciuti e chiacchierando con loro ho scoperto che erano titolari di un ristorante che stava andando male. Allora ho deciso di fare un sopralluogo e lì mi si è accesa la lampadina per un nuovo tipo di ristorazione, con menu fisso genuino e stagionale come piace a me. Ho rilevato il ristorante e dopo un mese avevo il locale al completo; poi è arrivata la televisione. Incredibile e forse inspiegabile per uno come me che lavorava in mezzo alle bestie (sorride, ndr).

Ha parlato di convivialità: in una vita quotidiana frenetica, per le giovani famiglie e per le nuove generazioni lo stare a tavola può essere considerato ancora una buona pratica?

Trascurando le tavole imbandite delle feste o degli eventi in cui ci si ritrova tutti insieme, oggi si è persa l’abitudine di condividere i pasti durante la vita quotidiana. Quando questo succede c’è sempre uno schermo acceso che limita il dialogo. Forse la mia generazione ha sempre parlato troppo, però la tavola rappresentava un momento di confronto, uno strumento per stare con gli altri. Altra cattiva abitudine, che sta diventando problematica, è il ricorso ai cibi industriali pieni di esaltatori di sapidità, di conservati e altri sostanze che fanno perdere completamente il gusto dei prodotti della terra e il valore della stagionalità. Ma fate una bella merenda con pane e pomodoro!

Per tutti il cibo è anche ricordo e tanti dei sapori che amiamo e ci legano all’infanzia: quali sono i suoi?

Mia mamma non credo abbia mai messo piede in cucina; mia nonna, invece, era una grande organizzatrice di pranzi e cene delle feste: i ricordi più fulgidi che possiedo sono le tavole delle feste, di Pasqua e Natale, in quella che era la massima espressione della cucina perché doveva coincidere con i momenti più importanti della famiglia. Ma le vere protagoniste dei miei ricordi legati al cibo sono le tate che cucinavano benissimo: ho avuto diverse tate, tutte ottime cuoche, di regioni e città italiane diverse. La tata del Tirolo, quella di Frosinone, o ancora la signora della Sicilia e poi quella della Sardegna: grazie a loro ho conosciuto e imparato ad amare il cibo di tutta Italia. Ed ero sempre in cucina a vedere come trasformavano i prodotti, e mescolavano, impastavano e io assaggiavo sempre. Quella mi sembrava una vera magia.

E a Verona, invece? Quali sono i sapori, i prodotti che ama mangiare?

Amo andare in giro per l’Italia alla ricerca di prodotti di qualità, delle piccole produzioni, di quei sapori tipici che difficilmente troviamo a causa dell’industria che sta trasformando il prodotto agricolo in semplice denaro. Verona in questo fa la differenza perché è depositaria di tante eccellenze enogastronomiche, di tanti produttori dove si ritrovano i sapori della tradizione ma anche le particolarità. Mi annoio a mangiare sempre le stesse cose ma in Veneto non succede mai, assaggio sempre qualcosa di nuovo.

Qual è il suo piatto veronese preferito?

Impossibile scegliere un piatto preferito per uno come me che ama il cibo, a Verona ancora più difficile: dalla carne ai dolci, ce n’è per tutti i gusti. E poi, per non parlare del vino: credo sia il valore aggiunto di questa città dove piatti squisiti incontrano un grande vino. Un matrimonio, una storia d’amore perfetta. Adesso però mi mangerei volentieri un bel risotto.

Giorgione insieme ai ai cuochi dell’Associazione Cuochi Scaligeri di Verona