Ornella Vanoni: «Il fascino non è un fatto anagrafico»

di Redazione | 24 Novembre 2025

La scomparsa di Ornella Vanoni il 21 novembre 2025 ha lasciato un vuoto profondo nel panorama musicale italiano. Un’icona che ha segnato la storia della musica, del teatro e della cultura, con una voce inconfondibile e uno stile unico. In omaggio alla sua straordinaria figura, riproponiamo un’intervista esclusiva che Claudio Capitini realizzò con Ornella nel 1986, durante la sua tournée con Gino Paoli al Teatro Filarmonico di Verona. Le sue parole, raccolte nel libro Di musica e parole. Interviste a cantautori, interpreti e musicisti italiani senza tempo (2021), ci permettono di rivivere la vita di una donna che ha trasformato ogni nota, ogni parola, in un racconto profondo ed emozionante di sé stessa e del mondo che l’ha circondata.

Ornella, questa tournée con Gino Paoli sta riscuotendo un enorme successo, le sale sono sempre piene. Come la fa sentire tutto questo?

Questo tour mi ha detto quanto il pubblico ancora mi ami e quanto ancora io mi diverto a cantare e dare emozioni. Cantare è molto bello, sa.

Qual è la sensazione più forte che prova durante i concerti? È più emozionante cantare o recitare?

Può esserlo, e comunque sono due cose diverse. Cantare significa entrare e uscire da più sentimenti, perché ogni canzone cambia. Questo ha tutto un suo fascino.

Gino Paoli ha scritto per lei alcune delle canzoni più importanti della sua carriera, come Senza fine. Come definisce il suo rapporto con lui?

Gino è stato una parte fondamentale della mia vita, sia artisticamente che personalmente. Le sue canzoni sono sempre state come un vestito cucito su di me. Non c’è niente di più bello che sentirsi davvero l’interprete di un brano. E Senza fine è stato un bellissimo regalo.

Ha anche vissuto dei momenti molto drammatici con lui, come quando si recò a trovarlo in ospedale, quando era in rianimazione dopo essere stato colpito. Che ricordo ha di quella situazione?

Provai profondo dolore, ma anche molto stupore. L’idea che fosse lì, con una pallottola nel cuore, è qualcosa che non dimenticherò mai. Sono stati anni intensi, segnati da emozioni forti.

In Ricetta di Donna (1980), ha deciso di proporsi anche come autrice. Com’è stato per lei scrivere canzoni?

In quella occasione ho tracciato, con ironia, alcuni stereotipi che riguardavano la donna. Mi interessava mettere in evidenza quel “deve avere” ironico, il modo in cui la società ci impone delle caratteristiche. Quanto allo scrivere, vedremo, è qualcosa che mi ha sempre affascinato.

Il tuo album Ornella &…, registrato con jazzisti oltre Oceano, segna un altro cambiamento radicale nel tuo stile. Com’è nato?

Era un periodo di grande crisi per la canzone italiana. Sergio Bardotti, mio amico e produttore, ha avuto l’idea di riproporre vecchi pezzi fatti con i jazzisti. L’idea mi è piaciuta subito. Abbiamo cercato di fare qualcosa di nuovo, rispettando la tradizione, e il risultato è stato molto emozionante.

Ha sempre avuto un legame forte anche con il teatro. Come mai ha deciso di tornare a fare prosa, dopo tanti anni di musica?

Per una pulsione, una voglia. Una mattina mi sono svegliata e mi sono detta: “Faccio teatro!” Ho cominciato a telefonare agli agenti, Lucio Ardenzi lo ha saputo e mi ha mandato un copione. Phobe mi è piaciuta subito, e l’idea di lavorare con Albertazzi è stata una proposta interessante.

Come è stato lavorare con Giorgio Albertazzi? Era preoccupata di creare scintille tra due personalità così forti?

Un bel gioco, una bella sintonia. Un’accoppiata inedita, la nostra, singolare, con in comune il sense of humour. Lui è un bravissimo “porteur”, come mi aveva promesso. La critica ci ha anche riscoperto come una coppia comica, e questo mi ha sorpreso.

La sua vita sentimentale è sempre stata intensa e turbolenta. Come definisce l’amore oggi, a questa età?

L’amore è sempre stato un motore, ma anche una fonte di turbamenti. Ho sempre creduto che l’amore vero arrivi una sola volta nella vita e che non ti abbandoni mai. È quell’amore che ti definisce. È l’amore che ti definisce. Io non ho ancora perso le speranze, d’altronde il fascino non è un fatto anagrafico.

Come si definisce oggi, rispetto a quella giovane artista che, negli anni ’60, si fece conoscere come la “cantante della mala”?

Mi vedo come una donna che ha imparato a volersi bene, nonostante le fragilità. Ho sempre avuto ansie e paure, ma oggi sono consapevole di essere molto di più di quelle inquietudini. Quello che sono adesso è il frutto di anni di cambiamento, di amore, di ricerca.

Con il passare degli anni, come percepisce la fragilità?

Le imperfezioni sono il fascino di ogni donna. La fragilità è una parte di me che non nascondo. Se la gente conoscesse veramente me, saprebbe quanto sono fragile. Ma è proprio questa fragilità che mi ha reso più forte.

E come descriverebbe la sua sensualità oggi?

Vorace. La sensualità è tutto. È mangiare, stare al sole, parlare. È vivere

Quando la dicono intramontabile?

Comincio a crederci anch’io. Vedo molti giovani ai miei spettacoli… Per loro sono diventata una donna-simbolo, una specie di monumento.

Se non avesse fatto la cantante, che cosa le sarebbe piaciuto fare? 

L’estetista. Ho anche il diploma. Colpa dell’acne, andai a studiare a Ginevra.

Da vecchia signora come si vede?

Non mi vedo proprio. Ma se dovessi immaginarmi mi vedrei ancora più birichina!


Ornella Vanoni lascia un’eredità che non può essere racchiusa solo nei suoi dischi o nei suoi spettacoli. La sua vita, fatta di successi, sfide e passioni, è un racconto che continua a ispirare le nuove generazioni. La sua musica e la sua voce, che hanno segnato un’epoca, resteranno per sempre un patrimonio di tutti noi.