«Bagnoli? Con lui ci siamo sentiti come uccelli fuori dalla gabbia»

di Redazione | 20 Ottobre 2025

Allenatore silenzioso e schivo, ma capace di entrare nel cuore di un’intera città. Osvaldo Bagnoli (Milano, 1935) è il tecnico che condusse l’Hellas Verona allo storico Scudetto del 1985, trasformando un sogno impossibile in realtà. Definito “l’allenatore operaio”, Bagnoli ha incarnato una filosofia fatta di umiltà, disciplina e intelligenza tattica, valorizzando sempre il gruppo più dei singoli.
A Palla Lunga e Raccontare, su Radio Adige TV, Raffaele Tomelleri e Serena Mizzon hanno ripercorso la sua figura insieme ad Antonio Di Gennaro, Luigi Sacchetti e Piero Fanna, tre protagonisti di quella stagione irripetibile.

Che allenatore era Osvaldo Bagnoli?
Piero Fanna: Con Bagnoli ci siamo sentiti come uccelli fuori dalla gabbia. Ti faceva giocare libero, ti capiva. Non ti chiedeva cose impossibili, ma sapeva come tirare fuori il meglio da ognuno. Il suo calcio era semplice, senza frasi complicate o schemi da lavagna: contava la fiducia, l’equilibrio, la testa. Con lui in campo ti divertivi, ma sapevi anche che ogni cosa aveva un senso. Era un allenatore vero, uno che parlava poco ma diceva tutto.

Qual era il segreto di quella squadra?
Antonio Di Gennaro: Il calcio è semplice, anche se a volte lo complichiamo. Bagnoli ci ha sempre fatto giocare nel nostro ruolo, tirando fuori il meglio da ognuno. Eravamo considerati gli scarti delle grandi – Fiorentina, Juventus, Roma – ma con lui abbiamo trovato la nostra dimensione. Ci ha insegnato l’umiltà, senza mai spegnere l’ambizione. Ogni anno partivamo con l’obiettivo salvezza, poi tutto il resto era guadagnato. 

Era severo come allenatore?
A. : Sì, era severo, ma sempre giusto. Ogni ritiro a Cavalese cominciava con la lavagna e la spiegazione delle regole: niente gavettoni, rispetto degli orari, attenzione al gruppo. Una volta mi sorprese a mangiare una pizza fuori orario e mi fece una multa. Non me la presi: aveva ragione, perché ci teneva all’ordine e al rispetto reciproco. Era un uomo diretto e trasparente, diceva sempre la verità: chi era titolare, chi riserva e perché. Anche quando ammise che Vignola era stato preso “per gli abbonamenti”, lo disse davanti a tutti, con la solita onestà.

Che atmosfera si viveva in quella squadra?
A: L’ambiente era tranquillo, quasi familiare. Verona non era una grande metropoli e questo ci aiutava: vivevamo la classifica da primi con serenità. Era un gruppo unito, e Bagnoli era il punto di equilibrio di tutto.

Come costruiva la squadra?
Luigi Sacchetti: Bagnoli sceglieva i giocatori uno per uno, sempre insieme a Mascetti (ex-dirigente Hellas Verona, NdR) . Non cercavano nomi, ma ruoli e persone giuste: uomini seri, con voglia di riscatto. A lui non interessavano le prime pagine, ma la mentalità. Voleva gente che non avesse mai fatto parlare di sé, che avesse fame e umiltà. Così nacque quel gruppo: ragazzi provenienti da grandi squadre, tutti con qualcosa da dimostrare. In campo non alzava mai la voce, ma sapevi che c’era. Bastava uno sguardo per capire. Era un allenatore capace di farsi rispettare con la calma, non con le urla. Oggi pochi sono così: forse Ancelotti, uno che sa tenere lo spogliatoio e trasmettere fiducia come faceva lui

Cosa vi trasmetteva in campo?
P : Alla Juventus non avevo più spazio, e a Verona ho trovato un allenatore che voleva vincere anche in provincia. Bagnoli ci trasmetteva coraggio, la voglia di provarci sempre. Ci diceva: “Se andiamo a San Siro col Milan o con l’Inter, il gol lo prendiamo, ma proviamo a farne uno anche noi”. Quella era la sua mentalità: giocarsela con tutti, senza paura. Era avanti anni luce, faceva tutto da solo, senza staff, e capiva le caratteristiche di ognuno. Ti metteva nelle condizioni di rendere al massimo, fisicamente e mentalmente.