“Aida di cristallo”, tra simbologia onirica e giochi di luce
di Alice Martini | 16 Luglio 2025Al terzo ritorno, dopo il debutto nel 100° anniversario della Stagione Lirica in Arena e l’affiancamento all’edizione che richiamava la prima storica del 1913 dello scorso anno, l’Aida di cristallo firmata da Stefano Poda viene riproposta per il programma del 2025.
Una consapevole riconferma che si affianca al nuovo allestimento proposto per la prima volta quest’anno anche di Nabucco e che, per l’opera maestra di Verdi, dimostra il vivo interesse e la curiosità del pubblico verso un tentativo di fornire all’opera nuove prospettive e simbologie che si rispecchino nella modernità.
Sullo sfondo di una scenografia impattante, che brilla tra i colori del bianco e dell’argento, quasi il racconto oltrepassasse i confini del conflitto tra egizi ed etiopi che racconta la storia, domina una mano meccanica che incombe sulle vicende e che si apre e si chiude quasi a rivelarle dalla chiusura di uno scrigno.
Alla classica imponente scenografia oro-cromato, sono proiezioni laser a porre l’immaginazione delle piramidi e lo spazioso palcoscenico viene invece delimitato dagli schieramenti della potente voce del coro di Fondazione Arena, che sembra quasi abbracciare i protagonisti al centro della scena. Spicca tra questi la potente voce di Agnieszka Rehlis, principessa Amneris e figlia del Re (Ramaz Chikviladze), in uno splendido vestito brillantinato nero che simboleggia la gelosia e allo stesso tempo il suo pentimento per la conclusione della vicenda. Di bianco vestiti invece, Aida e Radames (Olga Maslova e Jorge De Leon) che cadono vittime, a causa del loro amore impossibile, delle trame di vendetta e odio tra i loro popoli.
Ora nei momenti di dialogo o nei momenti di conflitto, sono proprio i coristi a sollevare tante più scenografiche piccole mani alzate, aperte o chiuse, che simboleggiano più che mai l’avvicinamento o l’allontanamento dell’essere umano al conflitto che lo coinvolge, rendendo la vicenda sempre al confine con un viaggio onirico o dantesco d’introspezione, arricchito anche dalla presenza di alcune maschere in forma animalesca.
A primeggiare è una forte componente corporea, che si evince nei numerosi e coordinatissimi balletti negli intermezzi musicali, dove spiccano la cura e la ricerca dei dettagli nei luccicanti abiti argentati o negli abiti scuri – segno di una ricercatezza ed eleganza tra alta moda e arte contemporanea – ma accompagnati da guanti e scarpe rosse, a simboleggiare la violenza e la crudeltà della guerra. Corporeità che trova anche molto spazio nel rappresentare il popolo etiope che, ora contorcendosi sulle lastre trasparenti del palcoscenico, ora formando piramidi umane, non tralascia un forte impatto di dolore e di distruzione che permea la vicenda.
Prossimi spettacolo mercoledì 16 luglio alle 21.15.


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