Verona 1985, Tricella, Fanna e Volpati: «L’ultimo treno di un calcio romantico»

di Redazione | 11 Ottobre 2025

Roberto Tricella, Pierino Fanna e Domenico Volpati sono stati i pilastri di quel magico Verona di Bagnoli che, nella stagione 1984-85, regalò ai gialloblù l’unico e irripetibile Scudetto della loro storia. Un’impresa che andò ben oltre lo sport, capace di intrecciare per sempre il destino di quella squadra con quello della città.

Nella prima puntata di Palla Lunga e Raccontare, condotta da Serena Mizzon e Raffaele Tomelleri, i tre ex gialloblù hanno ripercorso le emozioni, gli aneddoti e i segreti di un gruppo diventato leggenda.

Qual è la prima emozione che vi viene in mente pensando allo Scudetto del 1985?

Roberto Tricella: Quando penso allo Scudetto, il primo ricordo non è la festa o lo stadio, ma un momento intimo. Prima della penultima partita a Bergamo, preparando la valigia, trovai un bigliettino di mia moglie. Mi ha scritto parole che mi sono rimaste dentro. Quell’attimo racchiude tutto: l’amore, la tensione, l’attesa. Poi sì, c’è stata la festa, ma quel gesto resta il più vero.

Pierino Fanna: Per me invece lo Scudetto è stato il coronamento di un percorso fatto di amicizia, rispetto e professionalità. Era una famiglia, uno spogliatoio vero. È stato l’anno più bello della mia carriera, anche se sapevo già che sarei andato via. L’ultima partita, quando sono uscito dagli spogliatoi e ho visto il Bentegodi tutto gialloblù, mi sono venute le lacrime agli occhi.   Personalmente poi, è stata anche una rivincita: ero arrivato a Verona con il morale a terra e lì ho ritrovato me stesso, la Nazionale e la fiducia. Lo Scudetto mi ha insegnato che anche quando sei a terra, non sei finito.

Pierino Fanna

Si parla spesso di quanto fosse unito il vostro spogliatoio. Era davvero quello il vostro segreto?

P: Senza dubbio. Ai nostri tempi il successo si costruiva nello spogliatoio. Eravamo un gruppo unito, e quello faceva la differenza. Oggi è diverso: servono grandi società, regole e organizzazione. Ma allora contavano gli uomini, non le strutture.

Domenico, qual è la tua fotografia più bella di quegli anni?

Domenico Volpati: I compagni di squadra. Quando penso allo Scudetto, vedo i loro volti.
Provo gratitudine e riconoscenza per tutti loro. Quel legame non si è mai spezzato: è un atto d’amore reciproco, tra di noi e verso la città. Quando torniamo a Verona e la gente ci riconosce, ci emozioniamo più di loro. Questo scambio di affetto non è scontato.

Domenico Volpati

Che rapporto avete oggi con Verona e con quella storia?

R:Ancora fortissimo. Prima di venire in trasmissione eravamo su Ponte Pietra a guardare la città. Ci siamo detti: “Ma ti rendi conto di cosa abbiamo vissuto qui?”.
È stato un rapporto speciale, fatto di valori condivisi con la gente, al di là dei trofei. Nessuno potrà togliercelo.

Vi sentite una “favola irripetibile”?

R:No, non è stata una favola. È stata il risultato di anni di lavoro e sacrificio. Nei cinque anni in Serie A siamo arrivati più volte vicini al vertice, spesso privandoci dei nostri migliori giocatori. Se la società avesse investito di più, avremmo potuto vincere altri campionati.

P: Quel Verona è stato l’ultimo treno di un calcio romantico. Dopo arrivò il Milan di Berlusconi e cambiò tutto. L’unico paragone moderno è il Leicester di Ranieri, che come noi ha battuto le corazzate, ma oggi è impossibile ripetere una storia così.

C’è un episodio che vi è rimasto dentro dopo lo Scudetto?

D: Sì, la stagione 1986-87. Eravamo in tredici, con tanti infortunati, ma arrivammo quarti. Ricordo l’ultima partita a San Siro: ho visto Bagnoli piangere negli spogliatoi, due anni dopo il trionfo. Non aveva pianto neanche per lo Scudetto. Quella volta sì, perché capiva che stavamo superando ogni limite.

Nonostante i successi, avete qualche rimpianto?

P: La Coppa Italia contro la Juventus. Quella partita grida ancora vendetta. Ci massacrarono, letteralmente. Tardelli, prima di scendere in campo, mi disse: “Oggi non ti presentare in campo”. Era un altro calcio, ma certe ferite restano.

D: Oggi con il VAR sarebbe finita diversamente. Se solo si potesse avere un VAR retroattivo per rivedere quella partita.

R: È vero, ma anche noi non siamo stati perfetti. A Torino non riuscimmo a fare la nostra partita. Ma quegli anni restano irripetibili: cinque stagioni di altissimo livello, sempre con lo stesso gruppo e con una media di 28-29 anni.

Roberto Tricella

Qual era il segreto tecnico del Verona di Bagnoli?

P:La semplicità. Il nostro gioco era verticale, diretto, concreto. Bagnoli non voleva passaggi inutili tra i difensori: “In tre tocchi dovete essere davanti”, diceva.
E quando attaccavamo, voleva almeno cinque uomini in area. Aveva una mentalità coraggiosa: anche a San Siro ci diceva “il gol lo prendiamo lo stesso, quindi facciamo la nostra partita”. Quella mentalità ci ha resi grandi.

Nella prima puntata di Palla Lunga e Raccontare, Serena Mizzon e Raffaele Tomelleri hanno ospitato non solo i protagonisti del Verona Campione d’Italia, Fanna, Tricella e Volpati, ma anche il campione di sci Piero Gros e l’ex-calciatore Roberto Boninsegna. Palla Lunga e Raccontare va in onda ogni lunedì alle 21 su Radio Adige TV.