“Rosencrantz e Guildenstern sono morti”: una riflessione sulla fragilità umana

di Alice Martini | 5 Luglio 2025

Tutto nasce e si ricompone all’interno di una grande macchina scenica, un cubo di legno che, al centro del palcoscenico del Teatro Romano, racchiude realtà e finzione delle vicende di Rosencrantz e Guildenstern, nel nuovo allestimento che il regista veronese Alberto Rizzi ha ideato sul racconto Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard, andato in scena giovedì 3 luglio come spettacolo inaugurale della stagione 2025 dell’Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano. 

Una scatola che, alla mercé degli attori, diventa essa stessa un palcoscenico a rappresentare, con lo strumento della fantasia, gli scenari più improbabili di cui necessita la narrazione: una strada, un castello, una nave, richiamando all’abilità della Commedia dell’Arte. Ne spicca la pantomima iniziale, stratagemma più che azzeccato per raccontare in pochi attimi, con ironia, le vicende di Amleto in precedenza al momento messo in scena. Ma è anche un avvincente accostamento con il teatro Elisabettiano, «pensato per creare una dinamicità dei personaggi, non solo nello spazio scenico – spiega Rizzi – ma anche nel “sotto” e “sopra” della struttura». 

Dinamicità dunque e fresca improvvisazione sono le caratteristiche che accostano la regia di Rizzi e le sorprendenti scenografie di Luigi Ferrigno, al teatro dell’Assurdo di Stoppard che racconta, nella macro-vicenda di Amleto, il destino infelice dei due protagonisti minori Rosencrantz e Guildenstern che, accettando la loro condanna, spiegano con un taglio divertito dal loro punto di vista, le vicende del loro vecchio amico. «Un’occasione unica e un sogno che ho realizzato nel mettere in scena quest’opera – aggiunge Rizzi – conoscevo l’opera di Tom Stoppard fin da ragazzo e l’opportunità di aprire l’Estate Teatrale Veronese e farlo con un cast di questo calibro, così generosi nel loro lavoro, è stato straordinario. Si sono visti ottimi risultati e il pubblico ha risposto con l’entusiasmo migliore che potessimo volere».

Ma rivela anche un ribaltamento delle prospettive che vedono all’interno della narrazione ulteriori “scene” che raccontano, dietro alle vicende della storia di Amleto, i dubbi esistenziali e le incertezze che minano la stabilità dei personaggi. La comicità e l’irriverenza dei due protagonisti, interpretati con superba sintonia da Francesco Pannofino e Francesco Acquaroli, rivela un continuo salto tra realtà e finzione, certezza o incertezza del futuro, domande sul senso della vita che si pongono i personaggi e che pongono al pubblico, portandolo ad essere protagonista di ciò a cui assistono. Non mancano alcuni riferimenti “pop” e riflessioni sulle incertezze che a volte affliggono nei cambiamenti e che si rispecchiano ancora anche nel mondo moderno: riportando il focus su come ancora il teatro sia strumento di profonda analisi. «Il teatro è vivo e continua a vivere e serve “fermento” – conclude Rizzi – questa occasione è stata enorme perché ho reinterpretato una già straordinaria rilettura di un capolavoro della letteratura come Amleto. Un sistema come di “scatole cinesi”, un gioco che mi ha permesso di raccontare “il teatro nel teatro” e dare spazio a molta della mia visione del teatro stesso».

La trama

Sullo sfondo della tragedia di Shakespeare, Stoppard si concentra infatti sulla missione che a Rosencrantz e Guildenstern è stata affidata dal re di Danimarca, Claudio (fratello del defunto Re, padre di Amleto) e della Regina Gertrude, che sospettano una pazzia nel figlio Amleto e per questo chiedono loro di indagare. Approfittando della presenza di una compagnia teatrale a corte, lo stesso Amleto vuole tentare di smascherare il sospetto che ha verso lo zio di essere l’assassino del padre (a lui apparso in forma di spettro e per questo inducendolo ad una forma di pazzia).  

Proprio i commedianti (interpretati da Paolo Sassanelli e dai giovani Andrea Pannofino e Chiara Mascalzoni) e anche il servo di corte Polonio, unico ad indossare una maschera che sembra richiamare Arlecchino – sia per la sua funzione di “servo di due padroni” che per il suo costume che lo veste di molte “braccia” come un ragno che tesse le tele di molte vite di nascosto – rappresentano, nell’assurdo della vicenda, sia un mondo e una sua visione da superare, ma al tempo stesso una chiave per comprendere meglio la realtà. Come a rappresentare che anche le vicende della vita sono in definitiva un continuo ribaltamento e cambiamento di prospettiva, e spettasse al pubblico, e quindi alle persone, decidere come viverle con la consapevolezza che l’imprevedibilità ha sempre il suo spazio.