Il “Nabucco” atomico conquista il giugno areniano

di Alice Martini | 28 Giugno 2025

Lanciò la carriera di Verdi e forse oggi è ancora una delle opere più amate del compositore emiliano: Nabucco, tornato in scena sul palco dell’Arena di Verona per il 102° Festival Lirico estivo, inaugurandone il palinsesto nel doppio appuntamento di venerdì 13 e sabato 14 giugno scorsi, ha entusiasmato e convinto il pubblico anche nel nuovo allestimento di Stefano Poda, proposto quest’anno dopo il rivoluzionario cambiamento già in Aida due anni fa.

Dopo la data di sabato scorso, che ha vinto l’imprevisto della pioggia ed è stata portata a termine con grande vigore solo ad un orario più tardivo, la quarta data è prevista stasera a chiudere gli appuntamenti di giugno con quest’opera.

Tra le maestose parti corali, magistralmente interpretate dal Coro di Fondazione Arena di Verona, il racconto del contrasto tra un popolo di conquistatori e quello dei conquistati, i babilonesi, guidati dal re Nabucco (Amartuvshin Enkhbat), e la città di Gerusalemme, sotto la guida del Gran Pontefice Zaccaria (Roberto Tagliavini). Nel mezzo i travagliati legami d’amore delle due figlie di Nabucco, da una parte Fenena (Vasilisa Berzhanskaya) e dall’altra Abigaille (Anna Pirozzi), a contendersi le attenzioni di Ismaele (Francesco Meli), nipote del re di Gerusalemme.

Un racconto quasi senza tempo che si nasconde dietro a una nuova visione dell’opera, che supera la storia dei protagonisti, e vuole soffermarsi sulle grandi forze che attraggono e respingono la natura umana: l’odio, l’amore, la supremazia e l’orgoglio, opposti che, in scena, vengono rappresentati come due grandi particelle che compongono un atomo e durante tutta la vicenda ruotano e si orientano in differenti direzioni, fino a ricongiungersi in una ritrovata armonia. Lo spettacolo si conclude con la maturazione e la consapevolezza che “muove” nel personaggio di Nabucco, redento infine da una nuova fede e convinto ad erigere un nuovo tempio sulle ceneri di quello da lui distrutto a Gerusalemme, nonché un sentimento di pentimento e richiesta di perdono verso il popolo ebraico, provato anche da un momentaneo esilio che scatena, al termine del terzo atto, la maestosa aria del Va’ Pensiero, cantata sulle rive dell’Eufrate. 

Un’armonia che è raggiunta anche, in chiave moderna, dalla consapevolezza di quanto la tecnologia sia oggi strumento di visione del mondo – visualizzata in scena da figure argentate che richiamano quasi una natura aliena – nonostante non debba prevalere sulla poliedricità e apertura dei sentimenti umani che, nei personaggi presenti, spicca nei colori sgargianti dei costumi. Una “vanitas” umana, incisa a caratteri cubitali in cima ad una clessidra stilizzata sul palcoscenico, che al di là dei confini del tempo, non deve far prevalere quella sorta di “hybris” che a volte vince nell’animo facendo prevalere la singolarità, a favore invece di un pensiero di armonia comunitaria, in equilibrio tra razionalità e spiritualità.