Filippo Migliorini, la lunga strada che porta ai Grammy
di Giorgia Preti | 7 Gennaio 2025Prima di saperlo lo aveva cantato, forse con leggerezza, a giugno 2024. Qualche mese più tardi, quella strofa è diventata realtà: “Cooking pasta in L.A., wanna try? Grammy on the way, look mum: I can fly” (Sto cucinando la pasta a Los Angeles, la vuoi assaggiare? Il Grammy sta arrivando, guarda mamma: posso volare, ndr). Mentre ce lo racconta, con la luce ancora negli occhi, fa una pausa e dice: «Non può essere un caso». Non ci crede alle coincidenze, alla casualità del mondo, LIL MILE – nome d’arte di Filippo Migliorini – che alla fine, lo scorso autunno, la nomination ai 67° Grammy Awards l’ha ricevuta davvero. E così, a febbraio, volerà per l’ennesima volta negli Stati Uniti, proprio in quella Los Angeles che lo ha battezzato definitivamente come artista, ma che è stata solo l’ultima delle tappe americane che hanno scandito la vita di Filippo, partito da Verona con una borsa di studio per il college nel 2015 e un futuro a forma di palla da basket.
Quando è arrivata la musica nella tua vita?
In realtà la musica c’è sempre stata, però all’inizio era solo scritta: scrivevo pensieri, frasi motivazionali e li mettevo in rima in chiave un po’ rap.
Però non ti definisci rapper…

No, sono un artista a trecentosessanta gradi, ma vengo in effetti dal mondo del rap e da quello dell’hip-hop. Tutto è iniziato quando sono arrivato in America: avevo vinto una borsa di studio al college per meriti sportivi, in particolare per il basket, e uno dei miei primi compagni di squadra a Charlotte, che è il nipote di Teyana Taylor, la regina del rap americano, mi ha detto di provare a scrivere qualcosa in inglese.
E come è andata?
All’inizio non è stato semplice, poi nel 2017 sono arrivato a San Diego e lì ho trovato una scena musicale più viva e sono entrato per la prima volta in uno studio di registrazione. Da lì ho accumulato esperienza con le prime canzoni e ho imparato molto. Mi sono creato una rete di contatti, di amici e anche di rispetto anche a Los Angeles. Ho avuto il supporto di gente importante della music industry americana, tra cui il sound engineer di Kanye West, Irko, che tra l’altro è veneto (ride, ndr), e The Game, con cui ho fatto una collaborazione nel 2021.
Ti ha mai spaventato entrare in un mondo così vasto e competitivo, soprattutto pensando che eri molto lontano dall’Italia?

Quando hai fede o credi in qualcosa, vai avanti. Io sono tranquillo: ho la mia fede. Non dico che vado a messa tutte le domeniche, ma sono sicuramente un veneto atipico: non bestemmio mai (ride, ndr).
Ai Grammy come ci sei arrivato?
Io sono entrato come membro della Recording Academy, che organizza l’evento, a giugno di quest’anno. Per entrarci devi soddisfare determinati requisiti in termini di numeri e canzoni all’attivo, oltre a due raccomandazioni da parte di artisti che hanno vinto almeno un Grammy. Dopo aver pubblicato la notizia su Instagram, mi ha contattato Antonio Vergara che aveva ascoltato i miei pezzi e gli erano piaciuti. Così mi ha chiesto di collaborare al suo nuovo album “The Fury”, che ha mandato in considerazione ai Grammy. A metà novembre sono uscite le nomination e, quando ho visto che c’ero anche io, non ci credevo. L’album è stato nominato per la categoria “Best Contemporary Blues Album”.
Adesso cosa ti aspetta?
Il 2 febbraio ci sarà il gran galà a Los Angeles e speriamo di vincere.
Se vincerai quale sarà la prima cosa che farai?
Sicuramente chiamo i miei genitori, perché mi supportano da sempre e non è scontato. Finalmente dopo tanti sacrifici stanno arrivando dei bei risultati.
Da Verona a Los Angeles. Gli Stati Uniti sono diventati ufficialmente casa tua?
Sì, sono tornato momentaneamente in Italia perché non avevo il Visto, ma tornerò là, dove mi sto costruendo una vita.
Ma la pasta la cucini davvero negli USA?
Ovviamente (ride, ndr).


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