Giovanni Battaglin: «Il mondiale? Vi racconto come me l’hanno rubato»
di Redazione | 11 Dicembre 2025Giovanni Battaglin appartiene a quella generazione di campioni che hanno segnato un’epoca del ciclismo italiano. Nato a Marostica nel 1951, scalatore elegante e tenace, negli anni Settanta e primi Ottanta ha costruito una carriera ricca di vittorie e imprese, culminata nel 1981 con la doppietta Giro d’Italia–Vuelta a España centrata in appena 48 giorni: un primato che ancora oggi ne racconta la statura atletica e la capacità di resistere alle fatiche dei grandi Giri. Ma nella memoria collettiva resta anche un’occasione mancata, quella del Mondiale di Valkenburg del 1979, concluso in una volata tanto discussa quanto amara. Ospite di Raffaele Tomelleri e Serena Mizzon negli studi di Radio Adige TV per Palla Lunga e Raccontare, Battaglin rilegge con lucidità e misura quella giornata e ripercorre il filo della sua vita sportiva e umana: dalle montagne che lo hanno consacrato al ciclismo all Officina Battaglin, la realtà artigianale con cui continua a vivere la passione per le due ruote.
La grande occasione iridata sfumata al Mondiale di Valkenburg 1979, in una volata tra le più discusse e controverse della storia. Cosa accadde davvero quel giorno?
Eravamo in quattro nella fuga decisiva: tra gli altri c’erano l’olandese Raas e il tedesco Thurau, due grandi corridori dell’epoca e considerati tra i favoriti alla vigilia.Io non ero un fulmine in volata e non ero riuscito a creare una distanza significativa prima del traguardo. A quel punto contavano soprattutto i nervi saldi. Avevo percepito che mi temevano e che, per loro, forse era quasi più importante che non vincessi io piuttosto che ottenere la vittoria. Arriva la volata: in palio c’è la maglia iridata, una maglia che porti per un anno e che può esaltare un’intera carriera. Scelgo di lanciare lo sprint sulla destra, provando ad anticipare Raas e gli altri, ma vengo chiuso verso le transenne. Thurau mi ostacola per primo, poi Raas attraversa la strada da una parte all’altra, mi tocca la ruota e io cado. In quel momento vedo svanire il Mondiale e la possibilità di indossare la maglia iridata.
Aveva mai immaginato che potesse verificarsi un episodio del genere prima della competizione?
Sa qual è stato il mio unico errore? Andavo troppo forte, e anche gli altri lo sapevano: hanno agito di conseguenza. Avevano visto che ero uscito dal Tour de France in ottime condizioni ed ero tra i favoriti del Mondiale. Dopo il Tour avevo corso molti circuiti, in Francia e in Belgio. All’epoca si faceva così: erano gare che permettevano di guadagnare bene, e spesso vi partecipavano i più grandi. Essere invitati significava anche avere conquistato il cuore della gente. In quel periodo ero davvero in uno stato di grazia, e i miei avversari lo sapevano. Probabilmente questo li ha portati a considerarmi un avversario scomodo e, di conseguenza, a comportarsi come poi hanno fatto.
Ci furono indagini sull’accaduto? Quale fu il verdetto della giuria?
La giuria non prese alcun provvedimento nei confronti di Raas e Thurau: l’ordine d’arrivo venne confermato. Vinse Raas, idolo di casa, per il quale Thurau e il francese Bernaudeau fecero praticamente da vassalli. La reazione più forte arrivò dal pubblico, soprattutto quello italiano. All’epoca se ne dissero molte, e se ne pensarono ancora di più.
Lei come reagì a tutto questo?
Ero arrabbiato quando ho tagliato il traguardo, ma non ho perso la calma: non sarebbe servito a nulla. Non ha senso guardare indietro; anche quando ci ripenso non vado oltre una legittima amarezza. Sono felice di ciò che ho fatto, della mia carriera, delle mie vittorie. Ho conquistato un Giro e una Vuelta, ho vinto molte corse in linea e tappe in tutte e tre le grandi corse a tappe, in un’epoca in cui i fuoriclasse erano tanti. Vado in giro a testa alta, orgoglioso di ciò che ho costruito e della lezione che il ciclismo mi ha dato.
Anche dopo la fine della carriera da atleta non ha voluto abbandonare il ciclismo, fondando l’Officina Battaglin. Quanto conta per lei questo sport?
Il ciclismo mi ha insegnato a vivere, e mi ha permesso di avere un futuro anche come imprenditore. Le lezioni che ho imparato, comprese le sconfitte, mi sono servite nella “seconda vita”, quella iniziata quando sono sceso dalla bici.


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