Cos’è il “Clair de fesses”, l’inno alla sensualità
di Sara Avesani | 14 Novembre 2025Nel 1972 Guy Laroche firma uno degli abiti più iconici del cinema: un lungo vestito nero con una profonda scollatura sulla schiena, indossato da Mireille Darc in “Alto, biondo… con una scarpa nera”. Sobrio davanti ma sorprendente dietro, incarna il cambiamento culturale degli anni ’70, quando erotismo e moda iniziano a fondersi e il corpo femminile viene mostrato con nuova consapevolezza, tra ambiguità e seduzione. La schiena nuda diventa simbolo di potere, superando la semplice sensualità, per affermarsi come gesto stilistico. Non a caso, l’abito è stato donato al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, dove è oggi conservato come pezzo museale. La scena in cui Darc si gira lentamente, rivelando la scollatura, è entrata nella storia, trasformando quel look in una dichiarazione senza tempo.
Sebbene il celebre “Clair de fesses” non sia stato riproposto in modo identico negli anni, il tema della profonda schiena scoperta continua ad ispirare le celebrities, ma anche la gente comune che può osare un abito “clair de fesses” in una serata speciale. Star come Dua Lipa, Emma Chamberlain, Demi Moore e Nicole Kidman ne offrono interpretazioni contemporanee. Dua Lipa ha brillato al Met Gala con un abito Chanel ricoperto di perle e cristalli; Emma Chamberlain ha stupito con un suit Courrèges totalmente aperto sul retro; mentre Moore e Kidman hanno scelto look sofisticati che celebrano platealmente la schiena nuda.


In Evidenza
Scuole e carcere insieme per un nuovo percorso riabilitativo

Giuseppe Galderisi: «A Verona ho trovato l’America»

ActionAid e Quid insieme per un Natale di inclusione e moda sostenibile

Fondazione Telethon: anche a Verona torna la campagna di Natale

A Verona torna il Pranzo di Natale Solidale di Croce Bianca

“In farmacia per i bambini”: Verona prima in Veneto per solidarietà

Dick Van Dyke compie 100 anni: un tuffo nella vita del romantico “spazzacamino”

Al Galilei si “sfornano” geni: Luca Bortolazzi terzo alle Olimpiadi dell’IA

Adriano Bardin: «Rimarrò sempre un portiere, dentro di me»

