Giuseppe Farina: «Nel calcio contano gli uomini, non i soldi»

di Redazione | 21 Ottobre 2025

Scomparso da poco, Giuseppe “Giussy” Farina è stato uno dei dirigenti più originali e controversi del calcio italiano. Veronese di Palù, imprenditore e visionario, portò il Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi ai vertici della Serie A, sfiorando uno scudetto che resta nella memoria dei tifosi. In seguito guidò anche il Milan prima dell’era Berlusconi. Ospite di Raffaele Tomelleri e Serena Mizzon a Palla Lunga e Raccontare su Radio Adige TV, con la partecipazione dell’amico e collega Giambattista Pastorello, storico dirigente del calcio italiano, ha ripercorso la sua carriera tra intuizioni, passioni e qualche rimpianto: dall’avventura con il “Grande Vicenza” al passaggio al Milan, sempre fedele a un principio semplice: che nello sport, come nella vita, valgono più gli uomini dei bilanci.

Paolo Rossi è stato il simbolo del suo Vicenza. Lo rifarebbe quel colpo? 

Giuseppe Farina: Certo che sì. Io ho sempre giudicato le persone per quello che valgono, e Paolo era un giocatore unico, raro nel mondo del calcio. Avere Paolo Rossi al Vicenza era come avere la Madonna Pellegrina: un paragone forse un po’ forte, ma rende bene l’idea di quanto fosse importante per me. 

Ricorda la trattativa con la Juventus? 

Giambattista Pastorello: È stata una trattativa indimenticabile, la ricordo nei minimi dettagli. Con Giuseppe Farina andammo da Giampiero Boniperti ( ex dirigente Juventus, NdR) alla Galleria San Federico di Torino per discutere la seconda metà del cartellino di Paolo Rossi. Boniperti voleva che restasse ancora un anno al Vicenza, per poi riportarlo alla Juventus, anche se poi andò in maniera diversa. Cenammo in un ristorante elegante, con camerieri in guanti bianchi, mi ricordavano dei domatori. Restammo lì fino alle quattro e mezza del mattino, quando tornammo a Palù a bordo di un’Opel bianca familiare. Fu una trattativa bellissima, anche se, lo ammetto, ci eravamo davvero innamorati di lui e ci spingemmo davvero oltre per prenderlo.

Come nacque la famosa vicenda delle “buste”?

P: All’epoca, per risolvere le comproprietà, le società inserivano la loro offerta in una busta sigillata: chi offriva di più si aggiudicava il giocatore. Quando arrivò il momento di decidere il futuro di Paolo Rossi, la contesa era tra la Juventus di Giampiero Boniperti e il Lanerossi Vicenza di Giuseppe Farina. Farina ricevette una soffiata secondo cui la Juve avrebbe presentato un’offerta molto alta. Convinto di voler prendere il giocatore a tutti i costi, scrisse nella sua busta 2 miliardi, 612 milioni e 510 mila lire, mentre Boniperti ne indicò 875 milioni. Quando le buste furono aperte, il Vicenza risultò vincitore e Rossi rimase biancorosso. Fu un terremoto nel calcio italiano. Tutti si chiedevano come il Vicenza fosse riuscito a fare un’offerta più alta e “strappare” un giocatore del genere alla Juve. Ne nacque uno scandalo enorme, tanto che il presidente della FIGC, Franco Carraro, rassegnò le dimissioni: la prima e unica volta nella sua carriera.

Dopo l’esperienza di Vicenza arrivò il Milan. Com’è andata?

F: All’inizio mi dicevano tutti che sarebbe stato diverso. E avevano ragione. Alla prima riunione dei presidenti dei club, uno mi chiese: “Presidente, ma lei ha abbastanza soldi per far grande il Milan?”. Risposi: “Soldi? Abbastanza da servire a tutti un piatto di minestra”. Poi arrivò Silvio Berlusconi. Non voglio ricordare cose tristi, ma mi ha portato via tutto e non mi ha dato neanche una lira. Mi portò addirittura alla Procura della Repubblica. Voleva fregarmi e mi chiese i libri contabili, ma io non ho mai fatto il furbo con nessuno: non ho mai falsificato un bilancio, non ho mai imbrogliato un giocatore. Sono nato contadino e sono sempre rimasto un uomo onesto.

P: Farina era avanti rispetto a tutti. Un contadino, sì, ma con scarpe grosse e cervello fino. Quello che riusciva a fare lui, gli altri dirigenti non riuscivano nemmeno a immaginarlo.

Perché hai sempre dato un’importanza così grande al lato umano?

F: Ho sempre avuto accanto gente che mi aiutava, anche finanziariamente, ma il mio punto forte erano i rapporti umani. Stavo con i giocatori anche la domenica, parlavo con loro, li capivo. Sul piano umano ero forte, su quello economico mi difendevo. Questo perché chiunque può avere soldi ma gli uomini veri sono un’altra cosa. 

C’è un ricordo, o una frase, che riassume per te l’essenza del calcio?

F: Sì, quella del mio allenatore ai tempi del Vicenza Manlio Scopigno, che chiamavamo “il filosofo”. Diceva sempre: «Il calcio è la più bella roba del mondo, peccato che si giochi la domenica.» Aveva ragione: il calcio è passione ma anche tanto sacrificio.