Marco Cottarelli, pedalando oltre il limite

di Camilla Faccini | 3 Ottobre 2025

Il 25 agosto scorso Marco Cottarelli, 47enne di Nogara protagonista di una incredibile stagione nel paraciclismo, ha ricevuto la targa “Cangrande della Scala”, riconoscimento della Provincia di Verona che onora i cittadini capaci di distinguersi per il loro impegno e per la testimonianza di valori umani autentici. Era il 2000 quando, per un incidente in moto, Cottarelli perse l’uso del braccio sinistro. Da quella ferita profonda è nata una nuova forza: oggi l’atleta nogarese è campione italiano su pista e su strada, categoria C3, e corre con il Team Go Fast di Roseto degli Abruzzi. La sua risalita, sicuramente faticosa, è passata attraverso il lavoro, la determinazione, gli affetti più cari. Per questo Cottarelli è campione anche di coraggio e tenacia, esempio di come dalle cadute può nascere la spinta per tagliare traguardi che sembravano irraggiungibili.

Chi era Marco Cottarelli prima di quel giorno del 2000?
Un uomo normale: sono sempre stato un motociclista, all’epoca avevo un minimarket, lavoravo come macellaio e salumiere.

E poi, cosa è successo?
Dopo l’incidente ho perso completamente l’uso del braccio sinistro e non potendo più svolgere il mio lavoro sono rimasto fermo a lungo. Ho toccato il fondo, in tutti i sensi: fisico, professionale, economico.

Da dove è ripartito, professionalmente?
Un’agenzia interinale mi ha dato fiducia e mi ha inserito nelle vetrerie di Gazzo Veronese. All’epoca il mondo del lavoro era molto meno aperto ai disabili: anche solo ottenere una prova era difficile. Poi, tramite passaparola, sono arrivato in un negozio di articoli da ciclismo, Diamant, dove lavoro oggi.

Il lavoro l’ha salvata?
Assolutamente sì. Avere la certezza, ogni mattina, di alzarti e andare in un posto che ti piace, è stata una rinascita vera e propria.

Per la ripresa sportiva ha scelto la bici, come mai?
Dopo l’incidente mi sono chiesto cosa potessi fare. I motori erano da escludere: troppo costosi e senza adattamenti adeguati all’epoca. Ho ripreso la bici, ricordando le pedalate da bambino, e con i fissatori ancora alle gambe ho provato a fare i primi km, solo per testare l’equilibrio. È andata bene: riuscivo a stare in gruppo anche con normodotati, mi divertivo in salita e mi piaceva la fatica. Così ho iniziato a informarmi sul mondo paralimpico.

Un mondo complesso?
Molto. All’inizio non conoscevo bene il sistema delle categorie e dichiarai solo il problema al braccio. Ma anche una gamba era stata devastata nell’incidente e in bici si sente la differenza, perché pedalo male, la gamba è più debole e ho dolori cronici ogni giorno. Solo quest’anno, grazie a medici e specialisti, sono entrato nella categoria giusta. Ora finalmente corro con atleti che hanno la mia stessa disabilità.

Nel 2025 è diventato campione italiano su pista e su strada nella prova a cronometro e nello scratch, oltre a essere vicecampione italiano su strada in linea. Prossimi obiettivi?
Me li pongo man mano che vado avanti, insieme al mio preparatore.

Come si allena?
Ogni mattina mi alzo alle 5.15, alle 5.50 sono in bici e alle 7.30 rientro, pronto per essere in negozio alle 8. Difficilmente salto un allenamento; se piove pedalo indoor.

La bici può diventare il suo lavoro?
Lo è già, perché lavoro in un negozio di bici. Che il solo pedalare diventi un lavoro, no, e non lo vorrei nemmeno. Deve restare passione. Mi piace stare con i clienti, consigliarli. Fare solo il ciclista significherebbe essere sempre in giro: troppo stressante per me.

Quindi le Paralimpiadi sarebbero un sogno o un peso?
Se mi convocano a Los Angeles ci vado, chiaro (ride, ndr). Però sarebbe uno stress mentale enorme. Io ho bisogno che la bici resti una valvola di sfogo, non un obbligo.

Ha rituali o portafortuna?
No, nessuno. Una volta forse sì, ma ho lavorato per liberarmene. Oggi niente scaramanzie: se uso sempre le stesse scarpe è solo per comodità.

Che emozioni prova ogni mattina, quando sale in bici così presto?
Il senso del ciclismo che faccio sta tutto lì. Non metto mai la sveglia, mi sveglio da solo: significa che ho voglia. Già dalla colazione sono mentalmente in bici. Se c’è la voglia, non senti la fatica: l’allenamento diventa una gara con me stesso.

Ricevere il premio Cangrande che emozione è stata?
All’inizio, a caldo, quasi non mi sono reso conto del significato, sono sempre concentrato sul lavoro e sulla bici. Mi ha fatto un enorme piacere e mi ha dato nuovi stimoli. Non perché voglia accumularne altri, ma perché mi dà più forza, come mi danno forza i complimenti che ricevo sui social o di persona. Non sono abituato a tutto questo.

Premio Cangrande - marco cottarelli

La sua storia è sicuramente un esempio, oramai.
E questo mi fa piacere. Io sono il primo a spronare chi ha un problema a reagire. È difficile, ma poi ripenso a quel giorno del 2000: potevo anche non farcela. Perché allora abbatterci per cose che domani nemmeno ricorderemo?