Milo Manara, un romantico libertino
di Valentina Ceriani | 2 Luglio 2025«Il fumetto è una narrazione per immagini, e l’uomo disegna da prima ancora di saper scrivere». È un concetto di straordinaria semplicità, quello con cui lo scorso 6 giugno Milo Manara, a Verona, ha introdotto il suo intervento nell’ambito di Artinrete. Dopotutto è proprio così: il racconto visivo ha da sempre esercitato un certo fascino nell’uomo. Dalla caverna preistorica fino alle tavole moderne, l’arte figurativa ci accompagna ed è il mezzo più potente che possediamo per comunicare e comunicarci. E anche per Manara, che si definisce «fumettaro», disegnare non è solo un mestiere, ma «rito antico». Passeggiare con lui per le vie del centro storico, al tramonto, non era sicuramente nel nostro bingo del 2025, ma insieme abbiamo proseguito questo dialogo appassionato: ne è nata una conversazione che è anche un piccolo viaggio nella sua visione del mondo, dell’arte e della libertà.
Lei ha iniziato la sua carriera alla fine degli anni Sessanta. Ha vissuto in pieno la rivoluzione sessuale. La sente la differenza rispetto a cinquant’anni fa?
Beh sì, c’è una differenza enorme. Voi ragazzi non potete neanche immaginare com’era la società prima del ’68. Era una società molto repressa. Le ragazze erano praticamente tutte delle educande. I ragazzi, invece, erano educati a provarci sempre. Era una sessualità malata. Oggi ogni cambiamento parte da basi infinitamente più avanzate rispetto a quella società. Noi avevamo l’illusione, ma anche la consapevolezza, che stavamo cambiando la società. E in parte ci siamo riusciti, sul piano dei rapporti umani e sociali. Dal punto di vista politico, invece, è evidente che ci siamo solo fatti delle illusioni.
E quindi come vive il dibattito sul politicamente corretto?
Io ho ricevuto un’educazione al rispetto delle persone, anche delle minoranze, quindi non ho bisogno di imposizioni. Il rispetto non può essere obbligato: non mi piace questo conformismo e questa idea che dobbiamo tutti parlare in un certo modo, evitare certi vocaboli o immagini. È un’ipocrisia pensare che cambiando nome a qualcosa, se ne cambi la sostanza.
Da anni vive a Verona. L’ispirazione si trova anche tra le sue vie?
Sì, soprattutto nei primi anni, quando ero studente. La fortuna di noi italiani è che siamo immersi nella bellezza fin dalla nascita. Verona è straordinaria, ha dentro secoli di storia europea. Anche chi non è artista ne viene irrimediabilmente influenzato.
Lei è originario di Luson, nell’Alto Adige. La Lessinia riesce a sopperire la mancanza delle sue montagne (se, effettivamente, ogni tanto le mancano?)
Le Dolomiti sono un mondo a parte, con leggende e racconti che hanno costituito il mio immaginario infantile. La Lessinia è meravigliosa, ma non è paragonabile. È bella per altre cose, non perché assomiglia.
Ha collaborato con grandi nomi del cinema, da Fellini a Jodorowski. Oggi con chi le piacerebbe lavorare?
Recentemente ho letto un libro straordinario, La galassia dei dementi di Ermanno Cavazzoni, che conosco da tempo: con il suo Poema dei lunatici ha ispirato proprio La voce della Luna di Fellini. Ma lo dico sottovoce: ho un’età in cui forse non è il caso di iniziare nuove collaborazioni (ride, NdR).
Che ne pensa dei nuovi autori di fumetti italiani?
Le “nuove leve” sono forti, alcuni hanno una voce diversa e preziosa. Gipi, Paolo Bacilieri e Manuel Fior, per esempio, mi piacciono molto. Zerocalcare, poi, è un autore completo: fa ridere, piangere, incazzare, commuovere… Molti lo paragonano ad Andrea Pazienza, ma io non sono d’accordo, è qualcosa di totalmente diverso.


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