Lorenzo Salvetti, a tutto volume
di Giorgia Preti | 16 Gennaio 2025Il suo è un viso intonso, che non è ancora stato solcato dal tempo, ma i suoi occhi raccontano di più: è la storia di un ragazzo timido che, in realtà, ha già vissuto tante vite in pochi, intensi mesi. È stato pazzo d’amore, nei panni di un giovane Riccardo Cocciante, ha cantato l’amore più tenero, impersonando un giovane Claudio Baglioni, poi ha provato l’amore più forte, quello che supera anche le miserie del mondo, nei panni di Tananai. E poi, ancora, Lucio Dalla, Mannarino, Gazzelle, Lazza. Ma cosa serve per riuscire a domare queste voci a soli 17 anni? Tanta anima, tanto cuore, tanti sogni (uno, forse, più impor tante degli altri, come ci ha confessato). Forse sì, sarà anche merito del suo passato (e presente) da attore teatrale, ma bisogna dare il merito a Lorenzo Salvetti di essere riuscito a dare una “scossa” al mondo musicale italiano e l’ha fatto in un modo gentile, da uno dei palcoscenici più difficili della televisione: quello di X-Factor 2024. È stato lui, veronese doc, studente del Liceo Musicale dell’Istituto Campostrini, ad emozionare il pubblico e, ovviamente, la sua Verona, fino alla finale, dove – come i più umili – non si aspettava di arrivare. Eppure, ora, davanti a Lorenzo, cresciuto a “pane e Pink Floyd”, si è aperto un mondo nuovo, fatto di ciò che ama di più al mondo: la musica.
Lorenzo, ormai siamo quasi a metà gennaio. Ti sei ripreso dalla fatica di X-Factor e del Capodanno in piazza Bra?
Sì, avevo bisogno di qualche giorno per scaricare tutta la tensione accumulata nei mesi scorsi. Il percorso dei “Live” è durato cinquanta giorni, ma a me sono sembrati due anni (ride, ndr).
Ma come ci sei arrivato a X-Factor?

Io l’ho sempre seguito in modo molto superficiale, non ero molto interessato. Poi l’anno scorso ho scaricato TikTok e ho cominciato a pubblicare video in cui cantavo. Mi ha chiamato una talent scout di X-Factor (Rita Perrotta, ndr) che aveva visto i video e mi ha fatto fare i casting. Mi ricordo bene quel la giornata a Milano: sono stato l’ultimo a esibirmi e ho aspettato il mio turno sotto al sole per dodici ore. Sono entrato in sala distrutto, quindi non mi aspettavo di passare. E, invece, mi hanno chiamato. All’inizio ho pensato che la chiamata fosse uno “spam” pubblicitario (ride, ndr).
Alle “Audition” sei arrivato con una storia incredibile…
Ho fatto tutta quella scena in cui ho raccontato di una ragazza usando anche le mie “capacità teatrali”, che spesso uso per nascondere proprio la mia timidezza. Ho fatto un po’ il personaggio e ho buttato tutto un po’ in vacca (ride, ndr). Poi quando ho capito che dovevo cantare e suonare davvero, ho sentito la tensione. Alla fine dell’esibizione, quando sono arrivati i quattro sì, mi sono chiesto: “ma è successo davvero?”.
Ti sei esibito con “Poetica” di Cesare Cremonini. Sei partito con il botto. Perché questa scelta?

Perché io Cremonini lo ascolto e lo stimo da tanto tempo: è un artista con un sound molto particolare, con una scrittura veramente bella e a immagini, a metafore. Ho scelto quella canzone perché venivo da un periodo un po’ difficile della mia vita. Ero un po’ giù e non avevo stimoli. Quella canzone, che tanti pensano parli solo d’amore, io la vedo come una canzone di rinascita. La prima strofa dice “anche quando poi saremo stanchi, troveremo il modo per navigare nel buio”: è una frase di speranza, che mi ha fatto vedere una luce in fondo al tunnel.
Il passo successivo sono stati i “Bootcamp”.
Quelli li ho vissuti ancora peggio delle “Audition” perché ai “Bootcamp” c’erano quelle quattro maledette sedie e ho avuto molta paura di uscire, anche perché i cantanti nella squadra di Achille Lauro erano tutti molto bravi.
Come è stato passare così tanto tempo lontano da casa?
Il lato emotivo era quello più complicato perché avevi tutta la giornata occupata e i pensieri se ne stavano altrove, ma quando cominciavano ad affiorare erano difficili da gestire. Fortunatamente ci siamo fatti forza tra noi concorrenti.
Facciamo un passo in dietro. Come è entrata la musica nella tua vita?
La musica è entrata nella mia vita tanto tempo fa. Fin da piccolo i miei genitori mi hanno fatto ascoltare un quantitativo di musica esagerato: mio padre mi faceva ascoltare i Pink Floyd quando avevo tre anni. La passione vera e propria, però, è cominciata con il teatro e i musical, che faccio da ormai undici anni. Avevo iniziato per un grave problema di balbuzie e al primo spettacolo mi è sparita. Da allora non ho più smesso e, in realtà, lo faccio anche un po’ per scaramanzia: perché ho paura che smettendo possa ricominciare a balbettare.
E il pianoforte?
Quando ho iniziato le scuole medie a indirizzo musica le avevo deciso di suonare il Sassofono, ma era troppo complicato. Poi sono passato al pianoforte, me ne sono innamorato e non ho più smesso. Se sono arrivato fin qui ora, lo devo proprio alla mia insegnante di pianoforte, che mi ha forgiato. È stata severa, ma nono stante tutti i pianti che mi sono fatto uscendo da lezione (ride, ndr), le sarò grato per tutta la vita. Nel tempo ho anche imparato a suonare la chitarra da autodidatta.

Ti abbiamo visto nei panni di tanti artisti durante X-Factor: Cocciante, Dalla, Mannari no, Baglioni, ecc. Ma c’è qualcuno in particolare a cui ti ispiri?
Ora sto pescando da tanti generi, ma sto cercando di crearmi un’identità mia. Adesso sto ascoltando tanto Cocciante, che è il mio mantra di vita: ha una tempra, una scrittura che mi lasciano senza parole. Sul lato della musica più moderna, invece, mi piace molto Olly, che fa un genere interessante: è pop con un filo di autotune, folk e country. Se dovessi mai fare una collaborazione con qualcuno, vorrei farla con lui.

Il peso della responsabilità di esibirti con pietre miliari della musica italiana ti ha mai spaventato?
Io sono sempre stato amante dei pezzi struggenti, che ti distruggono l’anima; quindi, in tanti casi mi sentivo a mio agio (ride, ndr). Chiaramente non sapevo se fossi all’altezza di quelle responsabilità, ma fortunatamente il riscontro è stato positivo.
Con chi hai legato di più tra i concorrenti?
Avevamo un gruppo solido: ho legato molto con i componenti del la squadra di Lauro, i Patagarri e Les Votives e, ovviamente con i The Foolz, anche loro veronesi. Con loro mi divertivo molto a parlare in veneto per dirci anche delle cose in codice: mi sentivo a casa.
Adesso che sei tornato alla normalità come ti hanno accolto a scuola?
È stato molto strano tornare a studiare Dante dopo aver cantato davanti a sedicimila persone, ma è giusto così. Tutti i miei compagni mi hanno sostenuto, hanno appeso i miei “santini” in classe e, quando esco con gli amici, mi prendono in giro se vengo fermato per strada.

E il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto sarebbe di fare gli stadi, che è un obiettivo tosto. Ma anche cantare in Arena. Io ce la metto tutta, non si sa mai nella vita.
Achille Lauro lo senti spesso?
Sì, con Lauro ci sentiamo tuttora e anche con gli altri concorrenti della sua squadra. Lui mi sta veramente dando una mano sia a livello di musica, di contratti e di management, e anche a livello psicologico. Mi incoraggia a scrivere tanto. In estate uscirà sicuramente nuova musica.


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