Storie di persone - 17 settembre 2024, 16:02

Il (bel) rumore assordante di Lodo Guenzi

Il (bel) rumore assordante di Lodo Guenzi

«Per me la civiltà si divide in posti dove ci sono e non ci sono le mensole fuori dai bar: la civiltà comincia alla prima mensola. In questo direi che Verona è una città civilissima! Qui si sta davvero bene». Scherza Lodo Guenzi il pomeriggio della sua prima al Teatro Romano di “Molto Rumore per Nulla”, la versione 4.0 della celebre opera di Shakespeare adattata dalla regista Veronica Cruciani. Nella nostra città per la seconda volta dopo la “Trappola per Topi” al Nuovo dello scorso anno, si racconta con qualche filtro e tanta ironia. All’anagrafe Lodovico Guenzi, classe 1986 e segno del Cancro. Innamoratissimo della sua Bologna dove nel 2009 ha fondato Lo Stato Sociale, un quintetto indie-pop diventato famoso per trascorrere “Una vita in vacanza” con cui si è aggiudicato il secondo posto al Festival di Sanremo nel 2018, anno del massimo successo in cui è stato anche giudice nella 12^ edizione di “X Factor”. Carattere esuberante e poliedrico, con quel piglio un po’ indie e l’allure da artista scapigliato, sorvola sui suoi successi e si sofferma in qualche riflessione.

Sei cantante, attore e conduttore: come ti sei preparato a tutti questi ruoli e qual è il tuo segreto?

L’importante è fare tutto male, così si continua a riprovare e sperimentare. Ho studiato recitazione all’Accademia di Arte drammatica Nico Pepe a Udine poi a Bologna ho deciso di fondare una band, Lo Stato Sociale. Siamo diventati grandi e non ce lo aspettavamo. Ma tra i concerti e i testi delle canzoni ho sempre coltivato la recitazione fino ad oggi dove ho deciso di accantonare per un po’ la musica concentrandomi sul teatro.

Come è nata la tua passione per l’arte e qual è stato il ruolo dei tuoi genitori: avrebbero preferito un figlio avvocato o ingegnere?

Ho sempre dipinto, recitato e suonato fin da bambino ma poi ho dovuto fare i conti con la vita adulta, quella delle scelte. Mia mamma è un giudice, mio padre è un docente accademico. Io non ho nemmeno frequentato l’università, ma ad oggi credo sia stato per una banale forma di ribellione. La scelta del teatro e della musica è venuta da sé: ho semplicemente seguito le mie passioni e tenuto banco. Non ho mai avuto un piano B, anche se il mio sogno da bambino era fare l’avvocato dei serial killer, ma mia madre me lo ha impedito (ride ma non troppo, ndr). Forse sarei diventato un tecnico luci al teatro o al cinema: sempre nel mondo dell’arte, ma dietro le quinte dove si crea la magia dello spettacolo.

Il tuo mestiere, come tutti quelli che hanno a che fare con le parole, è delicato ma dal potere enorme: che significa per te scrivere e raccontare?

Chi lavora con le parole, con le immagini e con tutte le cose che non si toccano non deve mai essere presuntuoso: mai sopravvalutarsi. A volte le parole sono inutili, fanno “Molto rumore per nulla” ma solo così diventano necessarie. Una delle cose che insegna questa tragicommedia è che le parole sono preziose, precise e vanno spese bene. Misurate. Centellinate. Più parole usi, più stai cercando di nasconderti. Ho un pessimo rapporto con le parole; chiacchiero un sacco.

Tanti i temi dell’opera di Shakespeare che ti vede protagonista nei panni di Benedetto, tra i più attuali quello della disparità di genere a te molto familiare visto che lo canti spesso nelle tue canzoni…

Non c’è una disparità ma viviamo in un mondo, in un’epoca, zeppa di disparità (al plurale). Sono tutte figlie di rapporti economici che determinano più o meno forza all’interno della società. Spesso cadiamo nell’equivoco che cambiare la narrazione significhi modificare la realtà ma non basta: non sono sufficienti termini neutro, parole come “parità” e “diritti” per determinare un vero e significativo cambiamento. Bisogna fare di più, perché il principio della nostra società rimane il soldo.

Che rapporto hai con il pubblico veronese e con questa città?

È sempre bello tornare a Verona e casa dista meno di un’ora. In generale apprezzo molto viaggiare e lavorare in Veneto, è una regione dove si sta davvero bene. È la prima volta in cui mi cimento in un’opera di Shakespeare e farlo a Verona, al Teatro Romano, ha sicuramente un grande valore aggiunto. Non c’è luogo migliore.

Erika Funari

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