Cultura e spettacoli | 22 ottobre 2024, 16:03

La bella Art Brut

La bella Art Brut

Se di recente siete passati da San Giovanni Lupatoto avrete probabilmente notato un nuovo murales, in piazza Carlo Zinelli. I più attenti si saranno accorti che la firma è di due nomi molto noti nel panorama della street art: Ericailcane e Bastardilla. Magari vi siete anche chiesti come mai ci siano degli uccelli e un asino, ma a spiegare a chi è dedicata quest’opera d’arte è la piazza stessa. Il suo è un nome che quest’anno è riecheggiato parecchio, ma la storia di Carlo Zinelli ha origini lontanissime. Si potrebbe dire che tutto è partito con la sua nascita, nel 1916, ma non è sufficiente: l’arte e l’anima di Zinelli si sono forgiate molto prima, in una Pianura Veronese marchiata dalla guerra e in una condizione familiare poverissima destinata a influenzare irrimediabilmente il corso della sua vita.

All'età di nove anni Zinelli inizia a lavorare come garzone in una fattoria a Corte Santa Caterina, dove sviluppa un forte legame con gli animali e con la natura circostante, elementi che suggestioneranno la sua creatività e che spiegano, seppur parzialmente, il murales dei giorni nostri. I traumi di un’infanzia ingombrante non lo abbandonano e successivamente trova lavoro nel mattatoio comunale di Verona, esperienza che lo turberà profondamente. L’avanzata del fascismo e la breve esperienza come volontario durante la Guerra Civile Spagnola, aggravano ulteriormente la sua condizione, e per questo viene rinchiuso nel manicomio di San Giacomo Alla Tomba. Questo episodio comporta però anche la svolta artistica, alla fine degli anni Cinquanta, quando viene ammesso in un atelier di pittura organizzato all’interno del centro psichiatrico, dove bazzicava come volontario anche un giovanissimo Vittorino Andreoli. Pur non avendo mai frequentato accademie d’arte o scuole di pittura, Zinelli dimostra sin da subito un grande talento nel trasformare su tela i suoi mostri del passato e del presente, regalando al mondo un’arte genuina, folle e, nella sua ferocia, rivoluzionaria. Il trasferimento all’ospedale psichiatrico di Marzana, però, lo porta a una profonda depressione e disorientamento, che lo trascineranno alla morte nel 1974. Che cosa ci rimane, quindi? Una Fondazione che si dedica alla valorizzazione delle sue opere, ma soprattutto un’arte viva, che ancora oggi grida e chiede di essere udita, prima ancora che ammirata.

Il Barbero Scaligero